La divinità acceca chi vuol mandare in rovina: a questo fa pensare l´ostinazione con cui i partiti resistono alla riduzione di privilegi e costi della politica che confliggono in modo aperto con la sensibilità del Paese. E invece Fabio Fazio, tra mille comode domande non si è ricordato (oops) di Carlo Malinconico Castrota Scandeberg. Ora dicono che Monti abbia finalmente avviato la procedura di dimissioni del suo nobilissimo sottosegretario all´Editoria ma già questa è un´idea barocca, un espediente doroteo per prendere tempo. Pare che lo abbia convocato stamani, ma avrebbe dovuto mandarlo via subito, ed è una brutta pagina quella intervista celebrativa di ben 40 minuti senza la domanda che qualunque italiano avrebbe fatto: «Cosa aspetta a far dimettere questo sottosegretario che, come nei film di Totò sull´aristocrazia, scroccava il conto dell´albergo sulle amate sponde dell´Argentario, 16mila euro per una settimana, proprio alla famigerata cricca di Stato sui cui appalti esercitava allora potere e parola»?
Farlo dimettere prima che glielo chiedesse l´Italia, di sinistra e di destra, sarebbe stata una prova di eleganza. Meglio: non chiamarlo al governo sarebbe stata una certezza di serietà, tanto più che Malinconico, ex segretario generale della presidenza del Consiglio, ex presidente degli Editori, interrogato dai magistrati si era persino, come Scajola, fatto grullo per farci tutti fessi. Anche lui «non sapeva» che il conto gli era stato offerto. E quando l´ha “scoperto” si è (ohibò) indignato: «Allora ho deciso che non avrei più messo piede in quell´albergo!». Già, cos´altro poteva fare questa ennesima povera vittima della solita ferocissima banda dei saldatori di conti altrui?
A pagare i 16mila euro fu, nientemeno, Francesco Maria de Vito Piscicelli, esponente di un´altra “cavalierissima” famiglia caduta da cavallo. Il conte Ciccio Piscicelli è quello che la notte del 6 aprile 2009 rise beato alla notizia del terremoto dell´Aquila pregustando grandi affari sulla carne dei morti. Più recentemente portò mammà la contessa al ristorante in elicottero sulla spiaggia dell´Argentario (rieccolo), che è un altro luogo eletto dell´Italia all´arraffo, quella dei magici appuntamenti al tramonto, relax e aperitivi all´hotel Pellicano: «Mi raccomando, non è che si distraggono e gli fanno pagare il conto?» chiede allarmato Anemone a Piscicelli. E nel linguaggio “ahum ahum” della cricca, Malinconico diventa “M”, ma è una “eemmee” masticata e mimetica che all´orecchio sospettoso del maresciallo suona invece chiara e rivelatrice. Insomma ottiene, nell´intercettazione, l´effetto contrario: «Va fatta una reservazione… per quel signor Carlo…, con la “M” il cognome, no?». Malinconico, appunto.
«Il signor Carlo M» in un primo momento aveva dichiarato di avere pagato: «Sono stato presentato all´hotel “Il Pellicano” dall´ingegner Balducci che ricopriva carica istituzionale (presidente del Consiglio dei lavori pubblici, ndr). Non conosco invece l´imprenditore Anemone. Ricordo comunque di avere pagato per i miei soggiorni a “Il Pellicano”, pagamenti di cui sono in grado di recuperare le ricevute fiscali». Ma poi con i giudici preferì sfidare l´irrisione e ricorrere al candore pur sapendo bene che i verbali non sono sketch della commedia all´italiana. E va bene che Malinconico è un fine giurista, tecnico del diritto e multiprofessore, ma l´astuzia minchioneggiante come linea di difesa è la stessa adottata da Scajola, beneficiato a sua insaputa.
C´è anche la registrazione di una telefonata di Carlo M. a Balducci: «Pronto». E Balducci con tono accogliente e festoso: «Professore». «Ti chiamavo innanzitutto per il piacere di sentirti e per ringraziarti». «Che, scherzi?». «Perché poi Lillo oggi mi ha detto che… Insomma ti aveva… E tu avevi poi dato… Tutto a posto». «Ci mancherebbe». «Grazie veramente, benissimo». «Ottimo il tutto».
Di che parlano? Boh.
Sono telefonate di reticenza e di intesa, il galateo applicato al sotterfugio, l´inciucio educato: c´è un evidente sforzo di non dire quello che stanno dicendo. Fossero scritti, sarebbero pizzini con gli svolazzi. Anzi, visti i quattro quarti di nobiltà, pizzini in carta filigranata con lo stemma e con le cifre, come le mutande di Italo Bocchino all´Argentario.
E forse non parlano del soggiorno del signor Carlo M all´hotel Pellicano, forse Malinconico gli è grato per qualcos´altro. Sicuramente, visto il ruolo che ricopriva, era in conflitto di interessi. E quei 16mila euro, al di là dell´aspetto penale, sono un peccato mortale di stile e di decenza e dunque un campanello, un´orma da seguire con attenzione nella lunga carriera di un potente appartato , un potente “vero” verrebbe da dire, carriera di avvocato dello Stato, autore ricercatissimo di arbitrati borderline e geniali assistenze vincenti come quella che ha permesso all´altro sottosegretario, il suo amico Patroni Griffi (ancora un titolato) di comprare casa al Colosseo a un prezzo di evidente e dunque sospettabile favore. Certo, questa antropologia non esibisce la sgargiante spavalderia dei semivip e dei vip dei Parioli a Cortina. Malinconico è stato per tutta la sua vita professionale un tecnico dell´amministrazione, un professore e un magistrato. Ha esercitato il potere dentro i ministeri e la presidenza del Consiglio in ruoli vitali ma riposti, come richiederebbe la sua stessa antica nobiltà, discendente dagli eroi albanesi.
Non ti aspetti dunque che nell´educazione più raffinata ci sia la stessa Italia all´arraffo che stava dietro gli sguaiati arroganti e i furbetti, a riprova che lo stile sobrio – e lo dico per mettere in guardia me stesso innanzitutto – non è di per sé sinonimo di moralità. Gli annali della polizia sono pieni di delitti eleganti.
Ecco perché Fazio avrebbe dovuto fare la domanda sulle dimissioni necessarie di Malinconico e Monti avrebbe dovuto ammettere l´errore, la leggerezza, la macchia nell´immacolata fedina del governo che pretende di restaurare anche l´etica e il gusto nazionali, vuole aggiustare l´Italia e gli italiani. E meglio ancora bisognava chiedere a Monti come mai non si era accorto di nulla, come mai nessuno gli aveva detto quel che era stato pubblicato dai giornali, e primo fra tutti da Repubblica già nel 2010. Ma forse è adesso che Monti sta leggendo i giornali italiani, e meno male, visto che appena insediato dichiarò di leggere solo quelli stranieri. Ora forse si è abituato e dunque ha capito che la richiesta di dimissioni non è legittimata solo dalla convenienza politica di parte, che comunque è lecita. Forse c´è qualcuno, a destra o all´estrema sinistra, che specula e legittimamente strumentalizza l´idea, purtroppo per tutti noi convincente e vincente, che la colpa in politica è sempre del padrone e mai del cameriere. Ma Monti non può sottrarsi a questa logica della politica proprio ora che con la politica ha cominciato a sporcarsi, “parcondicionandosi” per esempio da Vespa a Fazio, e speriamo che il prossimo non sia “Cortinaincontra”.
Tanto più che Malinconico è stato anche presidente della Fieg che è un sindacato padronale, una corporazione, come quella dei tassisti o dei notai, e nel governo che ha dichiarato guerra alle corporazioni è in pieno conflitto di interessi. È infatti il sottosegretario all´Editoria, vale a dire l´erogatore di sovvenzioni ai giornali. Ed è sottosegretario proprio di Monti, uomo di fiducia del capo del governo.
Monti si liberi stamani stesso, di buon mattino, dell´uomo che più degli altri sottosegretari e più ancora di un ministro ha il diritto di decifrane il codice e il dovere istituzionale di rappresentarlo sempre e dovunque si trovi, anche all´hotel Pellicano all´Argentario, sul dolce e nobile declivio dell´Italia all´arraffo.
La Repubblica 10.01.12