Come sono cambiati gli atteggiamenti degli italiani verso lo Stato e le istituzioni? Per rispondere possiamo utilizzare i dati dell´indagine di Demos-la Repubblica, giunta alla 14a edizione. Suggeriscono un´immagine nota, quanto consumata: il declino. Oggi è considerato un “fatto” indiscutibile, sotto il profilo economico. Ma lo è anche sul piano del civismo e del rapporto con lo Stato e le istituzioni.
1) La fiducia nelle istituzioni e nelle organizzazioni sociali, infatti, scende in modo generalizzato, nell´ultimo anno, con poche eccezioni (fra cui la “scuola”, che però perde credito rispetto a dieci anni fa).
2) In particolare, colpisce il livello – davvero basso – raggiunto dai principali attori su cui si fonda la democrazia rappresentativa. Per primi, i partiti, a cui crede meno del 4% dei cittadini. Mentre la fiducia nel Parlamento viene espressa da circa il 9% degli intervistati. Oltre quattro punti meno di un anno fa.
3) Si tratta di una tendenza simile a quella che coinvolge – e travolge – gli organismi del sistema economico e finanziario.
Per prime le banche, verso cui manifesta “stima” il 15% dei cittadini; 7 punti meno di un anno fa. Ma la metà rispetto al 2001. Non molto più alta – intorno al 20% – risulta la considerazione verso le istituzioni economiche europee e internazionali: la Bce e il Fmi.
Appare basso anche il grado di consenso verso le rappresentanze delle categorie socioeconomiche: associazioni imprenditoriali (24%) e sindacato. Soprattutto la Cisl e la Uil, ben sotto il 20%.
4) Il sistema politico e quello economico appaiono, dunque, privi di riferimenti credibili fra i cittadini. Perfino le istituzioni di garanzia mostrano segni di debolezza. La “Magistratura”, soprattutto, perde 8 punti di fiducia, nell´ultimo anno. Un altro segno della fine di un ciclo. Visto che il “consenso” verso i magistrati è sempre stato in stretta relazione con il “dissenso” verso Berlusconi.
5) Fra gli orientamenti che emergono da questa indagine, il più netto e appariscente è, forse, il crollo di fiducia nei confronti della Ue. Verso cui esprime (molta-moltissima) fiducia il 37% dei cittadini: oltre 13 punti meno di un anno fa, ma 16 rispetto al 2001. All´indomani dell´introduzione dell´euro. Quando la maggioranza assoluta degli italiani si diceva euro-convinta.
6) Ciò sottolinea la crisi di governabilità di cui soffre la società italiana. Che – da sempre – non crede nello Stato (di cui si fida meno del 30% dei cittadini), tanto meno nei partiti (quasi metà degli italiani ritiene che non siano necessari alla democrazia) e, quindi, nel Parlamento (“presidiato” dai partiti). Ma oggi diffida – molto – anche dell´Unione Europea. Mentre, in passato, i due orientamenti procedevano in modo simmetrico. Perché gli italiani compensavano la (e reagivano alla) sfiducia nello Stato e nel governo italiano con la fiducia nella Ue. E con una crescente identità locale Ma la speranza nei governi locali e nel federalismo appare, anch´essa, molto raffreddata, rispetto al passato.
7) Alla Bussola pubblica degli italiani restano, così, pochi punti cardinali. Le “forze dell´ordine”, che riflettono il senso di insicurezza sociale. Oltre al Presidente della Repubblica, che è divenuto – negli ultimi dieci anni – il principale appiglio della domanda di identità nazionale degli italiani. Un sentimento rafforzato, nel 2011, dalle celebrazioni del 150enario. In questa indagine, il Presidente conferma la credibilità conquistata in questi anni. Ottiene, infatti, (molta-moltissima) fiducia da parte del 65% della popolazione. Eppure anch´egli arretra in misura sensibile rispetto al 2010: quasi 6 punti. Risente, probabilmente, dell´insoddisfazione sollevata presso alcuni settori sociali dalla manovra finanziaria del governo Monti. Un sentimento che si “scarica”, in qualche misura, anche sul Presidente. Percepito, a ragione, come il principale sostegno (politico) a favore del governo (tecnico). Tanto più di fronte alla debolezza che affligge i partiti e il Parlamento. Ma anche le organizzazioni di mobilitazione e di integrazione sociale.
8) D´altronde, anche la fiducia verso la più importante istituzione religiosa, la Chiesa, appare in sensibile calo. Oggi si attesta al 45%: 2 punti meno di un anno fa, ma 14 rispetto al 2001.
Tutto ciò ripropone l´immagine del “declino” che ha coinvolto i principali riferimenti istituzionali e dell´identità sociale degli italiani. Non solo lo Stato, ma anche l´Europa, la Chiesa; e ancora, il mercato e le organizzazioni di rappresentanza.
L´indice di fiducia complessivo nelle istituzioni politiche e di governo, dal 2005 ad oggi, è sceso infatti, dal 42% al 33%. Mentre, nello stesso periodo, la fiducia nelle istituzioni sociali ed economiche, nell´insieme, cala dal 35% al 26%.
Più che di declino, forse, converrebbe parlare di “recessione”.
9) Ciò marca una differenza profonda rispetto agli anni Novanta, quando la sfiducia nello Stato e nelle forme di partecipazione collettiva si accompagnò all´affermarsi del mito del mercato, del privato, dell´individuo, della concorrenza, dell´imprenditore. Oggi, al contrario, l´insoddisfazione verso i servizi privati è cresciuta molto più di quella verso i servizi pubblici. E la domanda di ridurre la presenza dello Stato nei servizi – scuola e sanità – si è ridotta al punto di apparire ormai residuale. Mentre il grado di partecipazione sociale non è “declinato”, ma, negli ultimi anni, si è, anzi, allargato sensibilmente. In particolare, hanno conquistato ampio spazio le nuove forme di partecipazione sociale: il consumo critico, i movimenti di protesta, le mobilitazioni che si sviluppano, sempre più, attraverso la rete.
Comportamenti particolarmente diffusi fra i giovani e fra gli studenti. I più colpiti dalla crisi, ma anche dalla sfiducia.
10) Da ciò l´immagine di una “società senza Stato”, (come recita il titolo di un libretto pubblicato di recente dal “Mulino”). Che, però, ha paura di restare senza Stato. E reagisce. Seguendo molte diverse vie. E vie molto diverse. La “sfiducia” – ma anche la “protesta” e la mobilitazione. Emerge, nel complesso, una diffusa resistenza alla “privatizzazione” dei servizi, all´individualizzazione dei riferimenti di valore e degli stili di comportamento, all´affermarsi delle logiche finanziarie e di mercato in ogni sfera della vita: a livello pubblico e privato. Sfiducia politica e partecipazione, dunque, coesistono presso le componenti sociali più vulnerabili. I ceti periferici, ma soprattutto i giovani, che manifestano incertezza e paura verso il presente, oltre che verso il futuro. E reagiscono insieme. Non solo per cercare soluzioni e per cambiare le cose. Ma per superare la solitudine e la frustrazione che li affliggono La partecipazione e la protesta agiscono, quindi, come una sorta di terapia. Contro la sfiducia e contro l´isolamento.
Si delinea, così, una stagione incerta. Un ciclo politico si è chiuso, dopo quasi vent´anni. Lasciandoci spaesati. Privi di riferimenti istituzionali e politici. Insoddisfatti del pubblico e delusi dal privato. Senza fiducia. Ma quel che verrà dopo non è chiaro – e un nuovo ciclo ancora non si vede. Tuttavia, la scelta di Monti di investire nel “civismo” – attraverso la centralità “mediatica” attribuita alla lotta all´evasione fiscale – appare una risposta poco “tecnica” e, invece, molto “politica” al problema sollevato da questa indagine. Restituire i cittadini allo Stato. Per restituire lo Stato ai cittadini.
La Repubblica 09.01.12
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“Se la democrazia fa a meno dei partiti”, di FABIO BORDIGNON
Può funzionare una democrazia “senza partiti”? Quasi uno su due, tra gli italiani, è convinto di sì (48%). E tale opinione mette d´accordo un numero crescente di cittadini. Questo indicatore, rilevato dal rapporto annuale su Gli italiani e lo Stato, ha fatto segnare una crescita di dieci punti dal 2008 ad oggi.
L´anno che ci lasciamo alle spalle ha reso ancora più profonda la frattura tra cittadini e politica. Quasi otto persone su dieci pensano che le cose siano ulteriormente peggiorate, nel corso del 2011, sotto il cielo della politica, e l´insofferenza si indirizza, ancor più che in passato, nei confronti del Parlamento e dei partiti. È necessario interpellare più di venticinque persone, oggi, per trovarne una disposta a dare credito ai partiti (4%). Il loro già ridottissimo punteggio, in termini di fiducia, in dodici mesi si è addirittura dimezzato (spingendoli sempre più in fondo alla graduatoria delle istituzioni). Sembra prendere progressivamente corpo, così, l´idea che si possa “fare a meno” di essi. Tale orientamento, che sotto i 45 anni supera la soglia del 50%, suggerisce, in questa fase, almeno due chiavi di lettura.
1) Da un lato, il deficit di rappresentanza dei partiti ha allargato le istanze di coinvolgimento dei cittadini. Nel momento in cui i partiti non sono più in grado di garantire il governo per il popolo, si rafforza la domanda di governo del popolo. Questa spinta si è concretizzata, negli ultimi anni, in una crescita della partecipazione, nella nascita di nuovi movimenti, in una riscoperta della democrazia diretta. Il moltiplicarsi della mobilitazione su specifiche questioni e il successo dei quattro referendum tenutisi la scorsa primavera hanno sottolineato, parallelamente, come questa onda partecipativa abbia in larga misura scavalcato i canali più tradizionali (spiazzando gli stessi partiti).
2) Dall´altro lato, la crisi politica ed economica ha reso evidente l´incapacità dei partiti di individuare soluzioni nell´interesse del popolo, favorendo soggetti ritenuti in grado di affrontare le emergenze che gravano sull´Italia. Non a caso, i cittadini sembrano affidarsi, in questa fase, soprattutto ad attori a-partitici: tecnici e istituzionali. Soprattutto, guardano con fiducia il Capo dello Stato, che negli ultimi mesi ha svolto un ruolo determinante nel gestire il cambio di governo, consegnando il timone del paese ad un esecutivo di esperti.
Queste due prospettive mettono l´accento sulle criticità (e le contraddizioni) che caratterizzano, oggi, l´evoluzione della democrazia (italiana e non solo). Esse tracciano, infatti, percorsi che superano i confini della democrazia rappresentativa, e tra loro difficilmente conciliabili. La stessa esperienza del governo Monti presenta, secondo molti, tratti di “eccezionalità democratica”. Ciò nondimeno, la sua sopravvivenza appare costantemente nelle mani delle (eterogenee) forze che lo sostengono.
Gli attuali partiti, in sintesi, risultano allo stesso tempo troppo forti e troppo deboli: al centro di un sistema che però faticano a governare. In questo senso, le aperture ad una democrazia “senza partiti” richiamano la necessità di contrastare l´indebolimento della stessa democrazia: un sistema che più di due italiani su tre continuano a giudicare come unica alternativa politica (sebbene nell´ultimo periodo siano cresciuti i sentimenti di indifferenza).
Dunque, se la democrazia (rappresentativa) appare ancora “impensabile senza i partiti”, il problema è mettere a punto dei correttivi che garantiscano il suo funzionamento e la sua legittimazione: perché andare “oltre i partiti” non significhi andare “oltre la democrazia”.
La Repubblica 09.01.12