Let it be potrebbe essere la colonna sonora che accompagna la crisi delle biblioteche, l’agonia delle librerie indipendenti, l’incertezza degli editori alle prese con la metamorfosi del libro digitale. Mentre gli addetti ai lavori si prodigano in appelli, denunce, interventi, nel Paese dove un italiano su due non legge nemmeno un libro all’ anno e poco più del 10% della popolazione frequenta una biblioteca, nulla sembra smuovere il disinteresse istituzionale nei confronti del libro e della lettura. E allora vai con i Fab Four, mentre le librerie indipendenti continuano a chiudere i battenti, il mercato del libro perde colpi (0,7%, pari a 7 milioni di euro sfumati) e le biblioteche stentano fra tagli ai bilanci (dal 30% in su), impossibilità di rigenerare gli organici e incapacità degli enti titolari di utilizzare la leva organizzativa per migliorare i servizi.
Sullo sfondo, la rivoluzione lenta dell’e-book, entrato in punta di piedi nel mercato italiano (lo 0,04% nel 2010, che pare diventerà l’1% quest’anno), la diffusione del self publishing, la battaglia campale delle vendite online, l’avanzata di internet a insidiare ogni ruolo di intermediazione informativa, editoriale e commerciale, la nascita di editori «digitali nativi» e di reti bibliotecarie che offrono accesso a una vasta gamma di contenuti in formato elettronico ai propri utenti.
Un quadro di ricchezza e complessità inedite, del quale non dovrebbero occuparsi solo i professionisti del settore perché in gioco non c’è soltanto la sopravvivenza di una filiera produttiva e commerciale ma il modo in cui una nazione favorisce la circolazione delle idee. Invece nulla, si procede in ordine sparso.
IL RUOLO DEGLI EDITORI
Così Stefano Mauri ha recentemente riaffermato (su «Repubblica», 11 dicembre) il ruolo insostituibile degli editori nel garantire la qualità dei libri e un contesto competitivo che garantisca opportunità agli autori e libertà di scelta ai lettori; l’Associazione Italiana Biblioteche ha lanciato un appello pubblico («La notte delle biblioteche», sottoscritto da intellettuali e da oltre 12.000 cittadini) per chiedere che anche nel nostro Paese il sistema delle biblioteche sia considerato una infrastruttura essenziale per l’accesso alla conoscenza e ai prodotti della creatività e dell’ingegno; i librai, che non avevano ancora finito di festeggiare l’entrata in vigore della legge che regola lo sconto sui libri, si sono trovati a doverla difendere dal fuoco amico dei best sellers messi in promozione ancor prima di debuttare in libreria.
Esorcismi buoni per farsi coraggio ma di relativa utilità se non raccordati in un quadro d’insieme che sappia coniugare la necessità di un cambiamento (nei modelli di business per gli editori, negli approcci commerciali per i librai, nelle prospettive e nei contenuti di servizio per i bibliotecari) con la presa di coscienza che la miglior polizza sulla vita per tutti gli attori della filiera del libro, attuali e futuri, è rappresentata dall’ampliamento della base sociale dei lettori.
Attraverso la lettura si assimilano competenze e si elabora conoscenza, si filtra informazione e si formano le opinioni. In Italia, dove il 71 per cento della popolazione non è in grado di comprendere un testo di media difficoltà (De Mauro sul «Corriere della Sera», 28 novembre 2011), questa dovrebbe essere una priorità nazionale, da affrontare con politiche di lungo respiro e investimenti adeguati, che sappiano ridare prestigio a una pratica fra le più svalutate e avvicinare ad essa il maggior numero possibile di italiani, giovani e non.
Non è un problema da affrontare (solo) in chiave tecnologica: quand’anche Internet arrivasse a contenere, come l’Aleph borgesiano, tutti i saperi e tutte le prospettive, se anche riempissimo le scuole di lavagne multimediali e dotassimo ogni studente di un iPad, senza la capacità di fare un uso consapevole e competente dell’informazione resteremmo prigionieri della nostra inadeguatezza al cospetto della complessità che ci circonda (e a dispetto dei molteplici gadget tecnologici di cui tutti ormai siamo dotati).
IMPARARE A LEGGERE
È a questo progetto di alfabetizzazione che le biblioteche possono dare un contributo significativo, come volano per la promozione della lettura e come ambiente esperto di apprendimento anche avanzato, specialistico, per lettori di tutte le età, in una prospettiva di continuità con il lavoro svolto dalla scuola e dall’università. Cittadini competenti e capaci di scegliere sono i migliori clienti possibili per editori e librai interessati a lavorare sulla qualità e sulla pluralità delle proposte.
Ma chi deve raccordare le visioni particolari orientandole in un quadro complessivo? Chi deve coinvolgere tutti i soggetti interessati in una discussione che abbia come unico obiettivo quello di produrre un quadro di riferimento coerente che metta ordine all’attuale babele di competenze per indicare chi, come con quali mezzi consolidare la lettura in Italia?
Le istituzioni finora sono state latitanti o hanno affrontato singoli aspetti del problema. È giunto il momento di aggredire complessivamente il tema della promozione del libro e della lettura con provvedimenti legislativi adeguati. A Matera, durante l’ultimo forum del libro, bibliotecari, editori e librai hanno discusso di una legge di iniziativa popolare per la promozione del libro e della lettura. Lodevole ma insufficiente, perché la definizione di una politica per la lettura richiede un sostegno istituzionale forte. Politica, se ci sei batti un colpo.
*Presidente AIB
L’Unità 06.01.12