Nel nostro Paese la questione giovanile è un problema di antica data che è stato appesantito negli ultimi decenni dall’espansione indiscriminata del precariato e che ha subito un drammatico peggioramento con l’arrivo della crisi economica. Da anni i media raccontano di “bamboccioni” che rimangono con i genitori e ritardano le loro scelte di vita, di ragazzi usciti dalla famiglia di origine che sono dovuti rientrare a casa perché non ce l’hanno fatta, di giovani di talento che lasciano il paese incapaci di trovare un lavoro. Gli allarmanti dati che l’Istat ha diffuso sulla disoccupazione giovanile, quindi, non stupiscono. Le riforme del mercato del lavoro introdotte negli ultimi anni con l’idea di favorire l’occupazione dei giovani e degli altri gruppi svantaggiati si sono trasformate in un boomerang non appena il motore dell’economia ha cominciato a perdere colpi. Le analisi empiriche sull’impatto della recessione hanno mostrato come i grandi perdenti della crisi siano proprio i giovani: il dato del 2011 si va a sommare agli 854 mila posti di lavoro già persi nel biennio 2009-10. Come ha evidenziato l’Istat, il contributo dato dai giovani under-30 alla caduta dell’occupazione totale è stato pari al 58%: si tratta dell’incidenza più elevata fra i principali Paesi europei. Ad essere particolarmente colpiti sono stati soprattutto i lavoratori atipici: il 63% della caduta dell’occupazione totale ha infatti interessato i lavoratori dipendenti a termine e i collaboratori. La deregolamentazione del mercato del lavoro non solo ha fallito l’obiettivo di favorire l’inserimento nel mercato del lavoro delle nuove generazioni, ma ha scaricato anche sulle loro spalle l’intero onere della flessibilità, non essendo stata realizzata nessuna riforma del sistema di assicurazione contro la disoccupazione. Basti pensare che, ad oggi, il sostegno al reddito assicurato dal sistema degli ammortizzatori sociali raggiunge solo una quota assai modesta dei lavoratori atipici, e con importi quasi simbolici per non dire offensivi della dignità della persona. A preoccupare non è però solo la situazione contingente, ma anche le conseguenze che questa potrà avere in futuro. Lunghi e persistenti periodi di disoccupazione e instabilità lavorativa nella fase iniziale della vita professionale rischiano di produrre effetti negativi sui livelli salariali futuri e sulle prospettive occupazionali. L’erosione del capitale umano durante la disoccupazione e il fatto che i continui cambi di lavoro possano essere interpretati dai potenziali datori di lavoro come un segnale negativo delle capacità del giovane, portano infatti a retribuzioni permanentemente più basse. Questi effetti negativi, inoltre, investono anche altre dimensioni, come la possibilità di formarsi una famiglia e fare dei figli, condizione necessaria per la sostenibilità del welfare nel lungo periodo. Tutto questo dovrebbe sollecitare il governo ad approvare al più presto misure volte a far fronte a questi gravi problemi. Invece tutto il dibattito continua ad essere concentrato su come ridurre le tutele ai lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Pare che il problema del nostro Paese sia che – nonostante Fincantieri, Irisbus, Osma, Treni Notte e altre decine di aziende – non si licenzi abbastanza facilmente. La disoccupazione giovanile è una questione di rilevanza nazionale e tentare di ricondurla all’ormai abusata contrapposizione fra precari e garantiti è l’ennesimo schiaffo dato ad una generazione che già paga sulla propria pelle un decennio di scelte sbagliate.
L’Unità 06.01.12