In una fase di sacrifici chi è eletto nelle istituzioni deve essere in prima fila nel dare l’esempio, eliminando ad ogni livello prebende e privilegi non più sopportabili. L’allineamento del trattamento economico dei parlamentari italiani al livello europeo va esattamente in questa direzione. Deve essere attuato senza inseguire l’antipolitica, basandosi sui dai dati reali e ricordando che non si parte da zero. Negli anni più recenti il Parlamento è intervenuto più volte per ridimensionare il trattamento economico dei deputati e dei senatori: dal 2006 l’indennità è stata ridotta del 10%; dal 2007 è congelato ogni adeguamento; dal 1° gennaio 2011 sono stati tagliati diaria e rimborsi (12 mila euro in meno all’anno); dal 1° novembre 2011 i parlamentari pagano un contributo di solidarietà pari al 10% per la parte eccedente i 90 mila euro di reddito imponibile (5 mila euro di tasse in più all’anno).
Di conseguenza, rispetto a cinque anni fa il costo lordo di ciascun deputato e senatore si è ridotto di circa il venti per cento in termini reali. Il lavoro della commissione Giovannini ha il merito di riportare tutti alla realtà, fornendo – pur con tutte le cautele evidenziate nella relazione – elementi utili per decidere in modo rigoroso e razionale, al di là dei titoli cubitali contro i parlamentari con “gli stipendi più alti d’Europa”.
I numeri della relazione – se letti con un minimo di attenzione e di onestà intellettuale confermano infatti ciò che gli addetti ai lavori (ma anche molti giornalisti) sanno da tempo: a) il costo totale lordo dei parlamentari italiani, che tra indennità lorda, diaria e rimborsi vari ammonta a 20.108 euro mensili, non è affatto fuori linea rispetto a quello degli altri Paesi europei. Anzi, è inferiore al costo dei parlamentari tedeschi (27.364 euro) e francesi (23.066 euro), così come – casi non esaminati dalla commissione Giovannini – dei parlamentari inglesi (21.090 euro) ed europei (34.751 euro); b) l’indennità lorda in Italia è più alta rispetto al resto d’Europa ma al netto di tasse e contributi la situazione cambia radicalmente e gli eletti italiani – che percepiscono 4.925 euro mensili per 12 mensilità – si collocano al di sotto dei francesi (5.035 euro) e dei tedeschi (5.110 euro), così come dei parlamentari europei (6.201 euro); c) i parlamentari italiani, a differenza di quelli degli altri Paesi europei, ricevono una serie di rimborsi in forma forfettaria. Su questo tema sono sul tappeto alcune proposte per rendere trasparente l’uso del contributo per il rapporto con gli elettori (che, va ricordato, è destinato all’attività politica e non solo alla remunerazione dei collaboratori dei
parlamentari); d) i vitalizi in Italia erano più favorevoli rispetto agli altri Paesi europei, ma questa anomalia è stata definitivamente superata con la decisione assunta da Camera e Senato di passare al regime contributivo dal 1 gennaio 2012.
I parlamentari del Pd, inoltre, contribuiscono in misura notevole al finanziamento del partito a livello nazionale (ciascun deputato e senatore versa 18 mila euro all’anno) e territoriale (le cifre variano realtà per realtà, ma sono generalmente molto consistenti). Questo sostegno, tanto prezioso quanto misconosciuto, è decisivo per l’attività di molte organizzazioni locali del Pd. Questi sono i dati oggettivi da cui muovere per completare, per quanto riguarda i parlamentari, la “Maastricht dei costi della politica”: la strada maestra, insieme alla modernizzazione delle istituzioni, per restituire alla politica la sobrietà e l’efficacia che i cittadini chiedono a gran voce.
*deputato e tesoriere PD
L’Unità 05.01.12