Ora è tutto chiaro. La politica ha nelle mani da ieri uno strumento efficace per rendere più efficienti le risorse pubbliche. Basta volerlo, ovviamente. Il dossier sugli stipendi dei politici redatto dalla commissione Giovannini, che ha messo a confronto i compensi di cariche elettive e organi istituzionali di sette Paesi europei, compreso il nostro, non è affatto incompleto e insufficiente come scritto nella relazione. Certo, se lo scopo era individuare una media europea – oggettiva e indiscutibile – a cui riferirsi, l’obiettivo è ancora
lontano: le differenze tra un Paese e l’altro sono tali e tante da rendere impossibile anche a un esperto come Giovannini, presidente dell’Istat, di trovare un criterio scientifico di comparazione. Che la commissione abbia chiesto altri tre mesi di tempo è dunque meritorio e comprensibile ma del tutto ininfluente. Anche nella sua incompletezza, il dossier costituisce una base solida per intervenire.
È però indispensabile leggere le tabelle con attenzione ed evitare conclusioni affrettate. Dire che l’indennità lorda di un
parlamentare italiano sia la più alta d’Europa è corretto dal punto di vista dei numeri ma non aiuta a capire i costi della politica, dove l’indennità è solo una delle otto voci analizzate nella comparazione. Perché è vero che un deputato francese prende meno di un collega italiano (7100 euro contro i nostri 11.283) ma in compenso riceve quasi il doppio come “spese di segreteria e rappresentanza” (6412 contro 3690). E se andiamo al costo dei collaboratori, scopriamo che Oltralpe esiste un assegno di 9138 euro mentre da noi rientra nella voce “segreteria” appena citata. Chi prende di più alla fine?
Un onorevole parigino o un deputato di Roma? Per non parlare del passaggio dal lordo al netto che varia di Paese in Paese a
seconda delle norme. Dal dossier Giovannini emergono alcuni dati incostestabili su cui sui può puntare fin d’ora per migliorare l’efficienza. L’abolizione dei vitalizi, in questo senso,
rappresenta una misura concreta che pone fine a un privilegio
ormai anacronistico. È dunque auspicabile che la cancellazione
proceda spedita e senza ripensamenti: si potrà discutere di come riconoscere i diritti acquisiti, ma non certo del carattere definitivo di un simile intervento. A cui andrebbero aggiunte altre due iniziative. La prima dovrebbe toccare le voci forfettarie che riguardano i trasporti (1331 al mese) e la cosiddetta “diaria” che dovrebbe coprire i costi di vitto alloggio
dell’onorevole (3503 al mese): anziché prevedere una cifra fissa
che nel totale sfiora i 5000 euro, sarebbe il casi di stabilire un tetto massimo e coprire solo le spese realmente sostenute. Giusto rimborsare i costi di chi viene da Pordenone, molto meno quelli di un deputato di Roma con casa e famiglia nella capitale.
La seconda misura dovrebbe riguardare i famosi “portaborse” per i quali ogni deputato riceve 3690 euro al mese come “spese di segreteria e rappresentanza”: voce generica e senza controlli che permette il mal costume, purtroppo diffuso, di assunzioni precarie e pagamenti in nero. Una possibile soluzione sarebbe assegnare i rapporti di lavoro dei collaboratori, non ai singoli deputati e senatori, ma al gruppo di appartenenza. Si otterrebbero solo vantaggi: come rendere più trasparenti i rapporti di lavoro e favorire economie di scala (il gruppo gestisce gli assistenti nel loro insieme nel modo che riterrà più utile e opportuno). Infine, liberi tutti di cambiare idea e bandiera – come avvenuto con grande frequenza di recente – ma sapendo che i collaboratori restano al gruppo. Non si porrà fine al trasformismo, ma almeno si terrà fermo un principio: che la politica è una cosa seria.
L’Unità 04.01.12