Si poteva fare di più (sulla lotta all’evasione) e meglio (sull’Irpef). Ma soprattutto si doveva fare prima: esattamente 10 anni fa. Purtroppo non è andata così: questa è la pesante responsabilità dei governi Berlusconi. A questo punto, dopo un decennio di malagestione dei conti e di racconti «fiabeschi» sulla realtà, agli italiani va detta la verità: «la manovra Monti è ineludibile. Necessaria, ma insufficiente». La vede così Vincenzo Visco, che descrive questo momento come «la crisi globale che si va dipanando. All’inizio se ne sono limitati gli effetti grazie al coordinamento internazionale delle azioni. Oggi invece ciascuno fa per sé, e la crisi peggiora». Difatti all’Italia non basterà aggiustare i conti: bisognerà anche modificare la politica economica europea. «il punto sta lì: si continua a chiedere di aggiustaee disavanzi, che sono l’effetto della crisi, non la causa. nel frattempo la Germania rischia di suicidarsi, evitando politiche espansive. Perché una cosa è chiara: il surplus tedesco può finire in due modi. O con la recessione, o con le politiche espansive. Scelgano loro». La «Merkel Politik» rischia di trascinare l’Europa nel baratro. «Non è un caso che Stati Uniti, Gran Bretagna, Fondo monetario osservano atterriti come l’Europa sia riuscita a farsi male da sola continua l’ex ministro del Tesoro Quello che si rischia oggi è che anche la Francia entri nell’occhio del ciclone già la prossima settimana. E dopo la Francia resta solo la Germania». Insomma, due livelli che si intersecano: quello nazionale e quello europeo. Gli italiani devono tenere i conti in ordine, i tedeschi e gli altri partner forti devono spendere: così si evita l’avvitamento. Perché «non c’è una formula uguale per tutti i Paesi: ciascuno deve fare quello che davvero serve».
L’intervento di Monti sarà recessivo?
«Tutte le manovre lo sono. Ma la questione è un’altra. Qui bisogna ricostruire la giusta sequenza logica. Nel 2011 abbiamo fatto una manovra dietro l’altra, e il governo Berlusconi non è riuscito a fare quello che c’era da fare. Il da farsi ha a che fare con i problemi strutturali del nostro Paese, e viene da molto lontano. Il debito dagli anni ‘80, la gestione del debito dagli anni 2000. Nel 2001 l’Italia aveva un avanzo primario di 5 punti di Pil e il debito era in calo. In 10 anni il surplus è stato azzerato e il debito ha subito un’inversione, a forza di finanza creativa e di vane promesse sulle tasse. Poi la crisi ha fatto il resto. Oggi Monti si trova a fare quello che andava fatto 10 anni fa. Ma è come rimettere il dentifricio nel tubetto: ci si impiastriccia le mani». Ma questa manovra basterà?
«Molto dipende da quello che accade in Europa, e Monti lo sa benissimo. La Bce ha ridato liquidità alle banche per evitare la stretta creditizia. È possibile che il peggio sia evitato. Ma il problema è un altro. Fermo restando che l’Italia doveva assolutamente fare la manovra, la Germania e gli altri paesi forti devono fare altro: cioè espandere. Altrimenti per l’Europa non c’è altro che recessione».
Se l’Italia ha fatto quello che doveva fare, perché lo spread resta alto?
«Le fluttuazioni dello spread non dipendono da quel che fa un singolo Stato, vedremo se le risorse date alle banche serviranno per acquistare titoli, e se la Bce continuerà con gli acquisti diretti. La mia impressione è che sia maturo un cambio di indirizzo in Europa. Lo dimostrano gli ultimi avvertimenti di Christine Lagarde all’Europa: state attenti che è il mondo a rischiare la depressione. Questo è il contesto in cui l’Italia si ritrova a pagare errori che sono tutti suoi. È inutile che Berlusconi se la prende con l’Europa: sono stati i suoi governi a scassare i conti. E lui cosa ha fatto fin’ora? Come mai non sapeva nemmeno che la Bce non può fare il prestatore di ultima istanza? Oggi sicuramente il ruolo di Francoforte va rafforzato: la Bce deve imporre spread credibili e assicurare che non si modificheranno. Così la speculazione si placherà».
Lei dice che bisognava recuperare 10 anni perduti. Non si poteva fare nulla di diverso nella manovra?
«Certo, qualcosa poteva essere anche diverso. Sulle pensioni si potevano smussare alcuni angoli, si poteva anche fare la patrimoniale sulle grandi fortune, sulle accise si sarebbe potuto aggiornare le aliquote all’inflazione (quindi alzarle, ndr), ma restituire il fiscal drag ai cittadini. Si poteva fare altro sicuramente, ma la sostanza non cambia».
Qual è il capitolo su cui è più critico. «Sono molto perplesso sulla lotta all’evasione, perché non c’è una strategia coerente né ex ante, né ex post. La misura sui conti correnti bancari si poteva fare in modo più semplice ed efficace. All’agenzia delle entrate bastano 4 numeri: saldi iniziale e finale, media dei depositi, media delle transazioni. Invece si è scelto di trasferire tutti i movimenti: un’operazione che richiederà almeno un anno per entrare in funzione, e che non aiuterà nella lotta all’evasione. Noto poi che si fa molta propaganda sul “cervellone” Serpico: è nato 12 anni fa, con il primo governo Prodi. Piuttosto che suonare le fanfare, bisognerebbe chiedersi come mai non ha funzionato finora. L’altra misura che avrei inserito è una detassazione, magari leggera, dell’Irpef. Ma, ripeto, queste osservazioni non mutano la sostanza. La manovra era necessaria, e non c’erano molti margini per l’Italia. D’altronde scontiamo i nostri peccati».
Le misure per la crescita la convincono?
«Anche qui è la stessa storia della finanza pubblica. Se ne parla da 10 anni e non si fa nulla. Tutti sanno che servono le liberalizzazioni, così come serve una macchina pubblica più efficiente. E anche qui mi chiedo: cosa hanno fatto i governi Berlusconi?» Serve davvero anche la riforma del mercato del lavoro?
«È singolare che in questo campo ci si divida su dei simboli. Secondo me bisogna fare una cosa molto semplice: guardare come funziona il mercato del lavoro nel resto del mondo, a prescindere dall’articolo 18. Faccio notare che negli altri Paesi gli ammortizzatori si pagano con la contribuzione. Cioè, pagano anche le aziende. Non è un caso che Sacconi difendesse tanto la cassa integrazione: così le imprese prendono solo soldi pubblici, senza contribuire alle tutele».
Per buona parte della base di sinistra la manovra è iniqua: si colpiscono pensionati a 1.400 euro lordi mensili. «Critiche giuste e sacrosante, ma irrilevanti di fronte alla necessità del contesto. In ogni caso, gran parte delle pensioni sono sotto quella cifra. E poi va ricordato che la spesa per pensioni è cresciuta di 3,1 punti di Pil in 10 anni, mentre quella per l’istruzione è diminuita di 2 punti. Nello stesso periodo la spesa per interessi è scesa di 2 punti, ma, ripeto, i governi Berlusconi si sono mangiati anche quei risparmi. A questo punto bisogna chiedersi: che tipo di società vogliamo? Dobbiamo o no recuperare risorse per la ricerca, l’Università, la scuola?»
L’Unità 02.01.12