attualità, politica italiana

"Discorso alla nazione", di Massimo Giannini

“Il discorso del re” non è stato solo un magnifico film di questo terribile 2011. È stato anche il messaggio di Capodanno a reti unificate di Giorgio Napolitano, che almeno sul piano simbolico è ormai al tutti gli effetti il vero “sovrano democratico” di questa incompiuta e inconcludente Repubblica parlamentare. Al contrario degli ultimi due anni, stavolta il capo dello Stato non si e limitato a un breve e colloquiale augurio dedicato alle famiglie italiane sedute a tavola per il solito cenone. “Re Giorgio”, come ormai lo ha ribattezzato il New York Times, ha tenuto un vero e proprio “discorso alla nazione”. Ad alto impatto etico, politico e persino psicologico.
Colpiscono i toni. A differenza del capodanno 2010, nelle parole del presidente della Repubblica si è percepito un piglio e un orgoglio del tutto inusuali, ma assolutamente coerenti con la fase. Napolitano sente l´esigenza di scuotere il Paese dalla sua inebetita frustrazione. Di strigliare la politica nella sua stupefacente auto-sospensione. Di stimolare il governo nella sua complicata missione. Di svegliare l´Europa dalla sua masochistica indecisione.
Convincono i contenuti. L´orizzonte è davvero oscurato da «interrogativi angosciosi», che riguardano l´economia e l´occupazione, la vita delle persone e il futuro dei giovani. Anche Napolitano, come Monti, parla il linguaggio abrasivo della verità. L´emergenza «resta grave», nonostante tutti gli sforzi fatti in questi ultimi mesi e nonostante la manovra pesante appena varata dal governo. Sono tanti i mali di questo declino italiano. È faticoso «recuperare la credibilità» perduta: i titoli di stato restano sotto attacco, il debito pubblico resta un «macigno pesante», il diritto al lavoro resta un miraggio, il modello sociale europeo sembra minacciato, insieme al sistema dei diritti che ha finora garantito. Evasione e corruzione minano le fondamenta della convivenza civile.
Ma soprattutto si allarga l´area del disagio e della disuguaglianza sociale. L´emergenza occupazionale si fa più acuta, fino a mettere a repentaglio «il futuro dei nostri figli». Serviranno altri sacrifici, per restituire alle nuove generazioni tutto ciò che gli è stato tolto. Serviranno anche tagli alla spesa pubblica, che in molti capitolo è cresciuta troppo. Serviranno nuovi equilibri nelle risorse del Welfare, troppo generoso con chi è già tutelato e troppo avaro con chi non lo è affatto. Napolitano non nasconde un solo dei tanti risvolti della drammatica crisi italiana. Ma la forza del suo messaggio sta nell´appello ad agire e a reagire, che il capo dello Stato rivolge a cittadini e classi dirigenti.
C´è il rischio che il Paese sia attraversato da pericolose tensioni e da rischiosi conflitti sociali. Cgil, Cisl e Uil lo dicono senza tentennamenti. Per questo il messaggio del presidente della Repubblica va raccolto senza esitazioni. Il ricordo delle durissime esperienze maturate nel Pci dentro le fabbriche della sua Napoli è quanto mai puntuale. L´evocazione del tragico ´77, con un Paese insanguinato dal terrorismo e sfibrato dall´inflazione a due cifre, è quanto mai attuale. Serve uno spirito da nuova «solidarietà nazionale», che va trovato qui ed ora. E questo ci riguarda tutti. Governati e governanti. Elettori ed eletti.
Nella sua pur evidente anomalia, l´Italia non vive in una “democrazia sospesa”. Siamo nello Stato di diritto formale e sostanziale, e non nello “stato d´eccezione” di Carl Schmitt. Il governo legittimo del Paese esercita le sue funzioni su mandato espresso del Parlamento. Ma i partiti, mentre il governo governa, hanno il dovere di rifondare se stessi, con l´unica stella polare del bene comune e dell´interesse generale. Se non fanno questo, se non si concentrano senza logiche di bottega sulle grandi riforme istituzionali che il capo dello Stato giustamente continua a invocare, l´onda dell´Anti-politica finirà per travolgere tutto e tutti. E allora non ci sarà più nulla da fare, e più nulla da chiedere o da rivendicare in Europa, dove i nostri sforzi non saranno mai più presi sul serio.
Ma nell´anno che e appena iniziato, Napolitano allunga di nuovo il suo sguardo su Mario Monti. Il suo governo è sempre di più il “governo del Presidente”, che non ha subordinate né alternative. Deve durare, e su questo Napolitano ha pienamente ragione. Ma deve soprattutto operare. E deve fare di più per dimostrare che una nuova Italia e ancora possibile. Il suo governo “di impegno nazionale” ha di fronte la sfida del risanamento, ma anche e soprattutto quella della crescita economica e della giustizi sociale. La sua missione, per quanto nobile e necessaria, non può ridursi a una pura e semplice “penitenza tecnocratica”. Solo se saprà ricominciare a produrre ricchezza e lavoro l´Italia «può farcela», come dice il capo dello Stato, perché ci sarà qualcosa da redistribuire, e dunque ci saranno più equità e più coesione. L´orizzonte non e troppo lungo, ma nemmeno troppo breve. Di qui alla scadenza naturale della legislatura c´è un tempo sufficiente per impostare le riforme strutturali e le rivoluzioni culturali di cui questo Paese ha bisogno. A Monti è richiesto uno scatto d´orgoglio nazionale ed eccezionale.
E´ questa la condizione che può far si che i sacrifici di oggi non diventino «inutili». Tocca al premier generare nella società italiana la «nuova forza motivante» di cui parla Napolitano. Ma per farcela, il Professore deve dare in fretta il colpo d´ala, nel Paese e in Parlamento. Come disse Aldo Moro ai tempi dell´apertura a sinistra della Dc, non deve «avere paura di avere coraggio». C´è ancora un anno e mezzo, prima del voto del 2013: se i partiti saranno cosi irresponsabili da sprecarla, il governo non deve permetterselo. Nel grande freddo di questa ennesima transizione italiana, il vuoto lasciato dai palazzi del potere può essere colmato di buona politica. Sotto la neve, il pane.

La Repubblica 02.01.12