Usciamo dal Medioevo e facciamo un passo nella modernità e nell’equità sociale. Le liberalizzazioni, in Italia, servono a questo. E da un governo che conosce bene quella famosa frase di Friedrich Von Hayek, quasi ritagliata su misura dello stivale italico – «La competizione è il terrore di tutti i conservatori di destra, di centro e di sinistra. Uno dei tratti fondamentali dell’atteggiamento conservatore è il timore del cambiamento» – questo ci aspettiamo.
Non esiste altro paese europeo così bloccato da restrizioni all’accesso, regimi di concessione, barriere legali e famigliari, veri e propri blocchi corporativi come l’Italia.
Non basta liberalizzare gli orari dei negozi (peraltro, i commercianti sinora sono tra i pochi ad avere conosciuto vere liberalizzazioni…). E rafforzare i poteri dell’autorità garante per la concorrenza è condizione necessaria ma non sufficiente per un mercato libero ed efficiente.
Il primo elenco delle cose da fare o da completare è noto: ci aspettiamo che il governo ricominci (bene) dall’opera ancora incompiuta. Innanzitutto frequenze radiotelevisive, ordini professionali, energia e gas, autostrade, farmacie. I taxi? Problema soprattutto di Milano e Roma. Battaglia simbolica sinora persa, (anche a Parigi, Jacques Attali ne sa qualcosa…), ma che va di nuovo combattuta. Attraverso queste prime vere liberalizzazioni, dobbiamo condurre una battaglia più dura, culturale e sociale. Dobbiamo smettere di piegarci agli interessi particolari di questa o quella oligarchia o corporazione; di quel beneficiario di concessione pubblica nazionale o locale (vedi autostrade, ma vedi anche le migliaia di società a partecipazione pubblica locali…); dobbiamo liberarci dal loro potere di condizionamento e fare ciò che dovremmo fare sempre: l’interesse generale del paese.
Inutile parlare di riforme per la crescita a “costo 0”, di merito, di giovani se consentiamo che nel nostro paese si vada avanti per via ereditaria, come già accadeva nel Medioevo. Oggi le corporazioni dichiarate sono almeno 28, contano 2 milioni di iscritti. Certo, la ricerca di consenso immediato sconsiglierebbe interventi troppo radicali. Ma questa mancanza di coraggio e di senso dell’interesse generale ha già provocato troppi danni nel nostro paese. Non è più tollerabile. Il governo conosce bene questa realtà ed ha ancora la possibilità di intervenire con nettezza e radicalità.
Certamente, gli ordini, le concessioni, le restrizioni alla libera concorrenza esistono anche in Germania, in Francia, in Spagna, in Portogallo…Ma in nessun paese le regole sono pesanti e complesse come in Italia, senza peraltro assicurare un maggior rispetto delle regole deontologiche proprie della libera professione o una maggior soddisfazione degli utenti.
È stato paradossale, del resto, vedere esponenti importanti del Pdl agitarsi a Roma e a Bruxelles e usare i consumatori (e la salute dei cittadini) come veri e propri scudi umani per proteggere la lobby dei farmacisti. Per questo, d’altra parte, noi democratici – assieme ai radicali – siamo gli unici veri sostenitori delle liberalizzazioni: perché in Italia liberalizzare vuole dire fare giustizia sociale e combattere privilegi ed egoismi. E per questo dobbiamo proseguire questa lotta senza esitazioni ed evitando di scivolare su questo o quell’albo come è accaduto anche di recente alla camera.
Dovremmo invece usare un metodo molto netto: invertire l’onere della prova. Cioè affermare che tutte le restrizioni sono abolite tranne quelle che vengono motivate e giustificate come necessarie nell’interesse generale. Il presidente del consiglio conosce molto bene queste realtà. Nel suo rapporto sul completamento del mercato unico europeo indicava che i servizi valgono il 70% del Pil europeo, sono il principale fattore di attrazione degli investimenti diretti esteri, una loro piena liberalizzazione ha un potenziale che varia tra i 60 miliardi e i 140 miliardi di euro, porterebbe ad un aumento dell’1,5% del Pil europeo (e probabilmente del 3% in Italia); ma ciò richiede decisioni coraggiose per eliminare i troppo ostacoli legislativi e burocratici ancora esistenti nei vari paesi europei. Esistenti soprattutto in Italia.
Da oggi abbiamo un’impellente necessità – e una grande opportunità – : che il presidente Mario Monti applichi gli insegnamenti del professor Mario Monti. Lo sostenevamo ieri in Europa. Se Monti farà Monti, lo sosteremmo ancora di più oggi in Italia.
da Europa Quotidiano 28.12.11