A«Regina Coeli» non esistono più biblioteche, aule scolastiche, «ambienti di socializzazione». Ovunque materassi a terra e brande ammassate ad inventare celle per quattrocento detenuti «oltre il limite». Ieri, nel carcere sovraffollato della capitale (1200 carcerati rispetto a una capienza di 800), il pranzo della comunità Sant’Egidio è diventato grido d’allarme. Nella rotonda centrale gli agenti penitenziari hanno l’ordine di sciogliere i capannelli ma «radio carcere» svela una realtà da incubo. Franco, 50 anni, per «reati contro il patrimonio» è da due anni «in questo inferno». Appena inizia a raccontare ai cronisti una storia di traumi in cella e diritti calpestati viene allontanato da un funzionario in borghese. Neppure al conduttore Flavio Insinna è consentito molto altro che qualche stretta di mano. Poche ore prima del pranzo dell’«Onu di Trastevere» era toccato alla delegazione radicale guidata da Marco Pannella visitare l’istituto e denunciare: «In Italia la democrazia è negata, nemmeno le bestie vivono così, è una bomba che può esplodere in ogni momento».
Per più della metà «Regina Coeli» parla straniero e, senza i mediatori culturali tagliati dal budget, neppure si riesce ad avvisare consolati e famiglie. La frase-simbolo della «giornata oltre le sbarre» è la definizione di Giorgio Napolitano del sovraffollamento carcerario: «Una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile». I detenuti dovrebbero ricevere recupero e rieducazione e invece la formazione professionale è bloccata: sono costretti in celle sovraffollate per 20-22 ore al giorno tra malattie che si diffondono, suicidi, violenza, operatori penitenziari abbandonati a loro stessi. «Una buona notizia per gli italiani: se si esce prima dal carcere non si commettono più reati, ma di meno – spiega il portavoce di Sant’Egidio, Mario Marazziti -. La cattiva notizia invece è che se si resta di più in carcere, fino alla fine della pena, e in condizioni sempre più invivibili, una volta liberi si commettono più reati e si ritorna in cella. Un circolo vizioso disperante e da spezzare». Il carcere italiano produce recidive pari al 69%. Al contrario, quanti hanno usufruito dell’indulto sono tornati a delinquere nel 33% dei casi, cioè meno della metà. «A guardare in profondità il dato è ancora più eclatante – continua Marazziti -. Chi ha usufruito dell’indulto provenendo da misure alternative (comunità terapeutiche, arresti domiciliari e altro) è caduto in recidive nel 22%, tre volte meno dei normali detenuti che hanno scontato tutta la pena».
Per non incorrere nella condanna di Strasburgo in molti istituti penitenziari, a causa del sovraffollamento, vengono lasciate aperte le porte delle celle per includere i corridoi e gli spazi comuni nella superficie procapite che altrimenti sarebbe sotto gli standard minimi e porterebbe a sanzioni. Il decreto «svuota-carceri» del guardasigilli Paola Severino è un primo passo ma, alle commissioni Giustizia di Camera e Senato, Sant’Egidio propone un pacchetto di misure urgenti e bipartisan «per un cambiamento immediato, non di facciata». Anche le condizioni di lavoro del personale carcerario sono a livelli allarmanti per sottodimensionamento e assenza di mezzi. «In soli tre o quattro anni, con l’aggiunta della crisi economica, si è creata un’accelerazione nel numero dei carcerati che non ha precedenti nella storia d’Italia e che non ha nessuna corrispondenza con il tasso di criminalità – denuncia Marazziti -.Eppure quasi tutti i reati sono in diminuzione da circa due decenni, salvo poche eccezioni. Una situazione dannosa al Paese, che aumenta e non riduce la sicurezza e che umilia la dignità umana dei detenuti e degli operatori. Inadeguata a un Paese di grande civiltà e cultura giuridica come l’Italia». Sant’Egidio e Radicali convergono nelle soluzioni allo choccarceri: amnistia per i reati meno gravi e uscita anticipata per che si trova a fine pena, misure alternative per malati e anziani.
La Stampa 27.12.11