Giampaolino, presidente della Corte dei Conti ritiene necessario “rinforzare” il falso in bilancio. “Non servono interventi episodici, soltanto repressivi, la lotta deve essere L’Italia, nella lotta alla corruzione, che “inquina e distrugge il mercato, non arriva alla sufficienza”. È drastico il giudizio di Luigi Giampaolino, dal luglio 2010 presidente della Corte dei conti. Che non vede, innanzitutto, “un vero, reale, profondo, sostanziale rivolgimento morale” rispetto alla “mala amministrazione”.
La sua esperienza al vertice della Corte, ma prima ancora all’Authority dei Lavori pubblici, la rende un testimone prezioso sul fronte della corruzione. Se oggi dovesse dare un voto all’Italia sulla lotta al fenomeno quanto le darebbe?
“Meno della sufficienza, perché si è proseguito sostanzialmente con un’azione, peraltro episodica, soltanto repressiva. La lotta alla corruzione dev’essere invece di sistema. Essa deve iniziare dalla selezione qualitativa e di merito degli operatori, sia pubblici che privati. Proseguire con il controllo e la vigilanza sul loro operato. Concludersi valutando i risultati. Tutto ciò che fuoriesce da questo schema genera mal’amministrazione e corruzione: anzi, è esso stesso mal’amministrazione e corruzione”.
In questi anni cos’è successo? La corruzione è aumentata, è diminuita, è rimasta stabile?
“É una domanda alla quale non si può rispondere, con apprezzabile precisione in via quantitativa. L’impressione è che sia rimasta stabile, soprattutto perché non si avverte un reale, profondo, sostanziale rivolgimento morale; l’onestà,
in ogni rapporto anche privato; la valenza del merito; l’etica pubblica; il rispetto del denaro pubblico e di tutte le risorse pubbliche, che sono i beni coattivamente sottratti ai privati e dei quali si deve dar conto”.
Ha avvertito nella pubblica amministrazione e nelle imprese da una parte, nei governi dall’altra, un cambio di sensibilità?
“La pubblica amministrazione, anche a seguito della crisi economica, sembra che miri ad avere maggiore consapevolezza della situazione di privilegio in cui talvolta si trova. Quanto alle sue funzioni, ancora non si è realizzata una più rigorosa selezione nella provvista e la garanzia di vagliate e consolidate professionalità, che sono tra i primi antidoti contro la corruzione nei pubblici apparati. Le imprese sembrano avere maggiore consapevolezza della portata disastrosa della corruzione per l’economia in generale, e di conseguenza per esse stesse. Non va dimenticato che la corruzione fa prevalere quelle peggiori, inquina la concorrenza, peggiora, se non distrugge, il mercato”.
Gli articoli che puniscono corruzione e concussione, ma anche il falso in bilancio e i reati connessi, sono adeguati o andrebbero rivisitati?
“Andrebbero rivisitati, avendo a parametri non tanto il bene e il prestigio della pubblica amministrazione, ma i valori costituzionali, in particolare gli articoli 97 (buona amministrazione, ndr.) e 41 (libertà d’impresa, ndr.). Indicazioni giunte, per la verità, dalla stessa dottrina penalistica fin dagli anni ’70, ma rimaste per buona parte inattuate nella riforma dei reati della pubblica amministrazione. In particolare, la fattispecie del falso in bilancio andrebbe ripristinata in tutta la sua portata di tutela di beni fondamentali dell’economia e di sanzioni di comportamenti che ledono”.
Dall’Europa viene spesso la raccomandazione a modificare la prescrizione, i cui termini sono troppo stretti per perseguire reati complessi e “nascosti” come la corruzione. Lo trova un allarme necessario?
“É senza dubbio giusto”.
La Ue e l’Onu hanno approvato convenzioni internazionali che l’Italia tarda a ratificare. Se ne può fare a meno?
“É un grave errore, soprattutto perché da lì arrivano modelli vincenti di lotta alla corruzione. Non misure solo repressive, ma accorgimenti organizzativi delle strutture pubbliche e delle imprese private, come nel caso del decreto legislativo 231 del 2007 sulla responsabilità amministrativa delle imprese, emanato proprio per attuare una convenzione internazionale. Ma è soprattutto con i rimedi organizzativi interni alla pubblica amministrazione che occorre agire. Ciò che, per la verità, già in parte persegue il disegno di legge sull’anticorruzione, ora in discussione alla Camera”.
Non trova anomalo che quel ddl, dopo due anni, non sia stato ancora approvato?
“Senza dubbio è un ritardo da lamentare e in più di un’occasione, nelle mie audizioni in Parlamento, me ne sono lamentato”.
Il contenuto della legge è sufficiente?
“Non lo ritengo tale nell’ultima versione frutto dei lavori in commissione. Occorre una rigenerazione fondata sul merito e sulla professionalità delle pubbliche amministrazioni. Serve un’effettiva, indefettibile, concorrenza, nel mercato. Ci vogliono una generale trasparenza, un’estesa dotazione di banche dati, una seria vigilanza ed efficaci controlli”.
Il neo ministro della Giustizia Paola Severino propone di introdurre la corruzione tra privati all’interno dell’impresa. Utile o superfluo, visto che le leggi già esistenti vengono aggirate?
“Sono d’accordo col Guardasigilli, dal momento che le imprese devono essere chiamate, con le loro responsabilità, a ovviare ai grandi fenomeni corruttivi”.
Che ne pensa dell’Authority anticorruzione proposta da Francesco Greco?
“Dovrebbe essere oggetto di attenta meditazione. Le Autorità, per essere efficaci, hanno bisogno di una riflessione ordinamentale e di efficaci poteri d’intervento e di sanzioni. La corruzione è un male che pervade tutto il sistema e quindi, solo con il concorso di tutte le Istituzioni, può essere combattuta”.
Fu negativo abolire l’Alto commissariato? Serviva, o era solo un carrozzone?
“Vorrei astenermi dall’esprimere un giudizio sulla sua utilità. C’è, innanzitutto, la pubblica amministrazione che deve essere richiamata ai suoi alti compiti e alla sua vera essenza. C’è la Corte dei conti, nella sua struttura centrale e in quella ramificata in ogni Regione, che deve essere modernizzata e potenziata. C’è il giudice penale, con le sue estreme sanzioni che avrebbero bisogno, però, di un processo che le rendesse realmente efficaci”.
Un ultimo quesito. L’Italia affronta un drastica manovra economica. Era necessario inserirci un duro capitolo sull’evasione fiscale?
“La manovra, in tutte e tre le scansioni succedutesi quest’anno, è molto fondata sulle entrate e su un rilevante aumento della pressione fiscale. La lotta all’evasione rientra in una tale strategia, anche se non va dimenticato che quanto più viene elevata la pressione fiscale, tanto più vi è pericolo d’evasione. É necessario pertanto spostare l’attenzione anche su altri fattori della struttura economica. Il problema strutturale rimane quello della spesa pubblica e di una riduzione qualitativa della stessa. Una “dura” lotta all’evasione fiscale presuppone sempre, come contro partita, una severa attenzione su come si spendono i soldi pubblici e la certezza che vi sia un’eguale osservanza di tutti gli altri obblighi costituzionali che contornano, se non addirittura sono il presupposto, di quello previsto dall’articolo 53 della Costituzione, l’obbligo per tutti di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
La Repubblica 27.12.11