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"Mettiamo all'asta la TV del futuro", di Giovanni Valentini

Prima parliamo di sistema, poi della peculiarità del servizio pubblico, e infine dell´azienda Rai. Se fosse vero che l´asta sulle nuove frequenze tv «andrebbe deserta», come ha sentenziato Silvio Berlusconi con la sua abituale sicumera, perché mai l´ex premier-tycoon se ne occuperebbe e preoccuperebbe tanto? A suo parere, «non sono un bene che ha mercato». Eppure, le frequenze assegnate in precedenza agli operatori telefonici hanno fruttato allo Stato 3,5 miliardi di euro. E anche se ora dovessero rendere soltanto i cento milioni già offerti da Michele Santoro, invece di essere benignamente “regalate” a Rai e Mediaset, l´incasso permetterebbe comunque di alleviare il peso dei sacrifici richiesti ai cittadini dalla manovra “salva Italia”.
Bisogna dare atto al governo Monti, in particolare al ministro Passera, di aver corretto in corsa un atteggiamento iniziale di disinteresse su una questione così delicata. Al di là dello stesso valore economico, si tratta di una partita rilevante per la difesa della libera concorrenza in questo settore nevralgico e ancor più per la tutela del pluralismo dell´informazione. Dall´assegnazione delle frequenze digitali residue dipende l´eventuale ingresso di nuovi operatori nel mercato televisivo tuttora dominato dal vecchio duopolio analogico e quindi la possibilità di una sua maggiore articolazione, in funzione di salvaguardia democratica.
È stata proprio questa l´origine di tutta la vicenda. Sotto la minaccia di una procedura d´infrazione da parte della Commissione europea contro l´abnorme concentrazione della nostra tv, il governo Berlusconi aveva deciso di assegnare gratuitamente le frequenze per simulare un allargamento del mercato. Solo che la controversa procedura del “beauty contest” avrebbe finito per favorire di fatto gli “incumbent”: i soggetti più “belli” e più forti. E invece occorre fare il contrario, per privilegiare semmai i “nuovi entranti”.
Molto dipenderà da come verranno predisposti il bando e il disciplinare di gara. Ma, prima di prendere in considerazione l´ipotesi di aprire l´asta anche agli operatori telefonici, sarà bene tener presente che nell´era della “tv fai-da-te”, in cui ognuno può costruirsi il suo palinsesto attingendo a diverse fonti, tenderà sempre più a consolidarsi la distinzione fra gestori di reti e produttori di contenuti. E allora sarà opportuno che la gara sulle frequenze venga allargata ai cosiddetti “operatori non verticalmente integrati”, quelli che sono in grado di fare televisione anche senza gestire reti in proprio: da Santoro o chi per lui, fino a Walt Disney. La tv del futuro passa per questa cruna dell´ago. La stessa asta può funzionare, perciò, come un antidoto contro il “totalitarismo televisivo”. Una misura anti-trust, insomma, in difesa della concorrenza.
In questo quadro, si colloca la crisi della Rai su cui il governo Monti ha puntato la sua attenzione, dal bilancio alla governance. In passato, a parere degli esperti più autorevoli, l´azienda è stata “spolpata” di frequenze a favore delle tv locali e di altri soggetti: tant´è che in diverse regioni si sono verificati problemi di interferenza nelle trasmissioni. Se si vuole difendere lo spazio della tv di Stato, come nel resto d´Europa, bisognerà preoccuparsi di garantire la sua sopravvivenza anche sul piano strutturale. Il sistema, il servizio pubblico, la Rai. Ecco l´ordine di priorità per affrontare e risolvere la “questione televisiva”.

La Repubblica 24.12.11