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"Scandalo al Pirellone: super liquidazione all'arrestato", di Michele Brambilla

Il fatto è semplice: la Regione Lombardia ha deliberato di versare una liquidazione di 340.000 euro e un vitalizio di cinquemila euro al mese a Franco Nicoli Cristiani, che l’altro ieri s’è dimesso da vicepresidente del Consiglio regionale e da consigliere. L’antefatto è un po’ meno semplice: Nicoli Cristiani non si è dimesso perché è stufo di fare politica e vuol dedicarsi al suo hobby preferito, ma perché il 30 novembre scorso è stato arrestato con l’accusa di avere intascato una tangente di centomila euro per autorizzare una discarica di rifiuti tossici.

Come sempre in questi casi, ci sono anche delle premesse da fare. La prima: i 340.000 euro sono esattamente il trattamento di fine rapporto fissato dalla legge per chi, come Nicoli Cristiani, ha fatto quattro legislature da consigliere regionale; stesso discorso per il vitalizio: non c’è un solo euro che non spetti di diritto. Seconda premessa: stiamo parlando di una persona che non è ancora stata condannata, anzi che non è ancora stata neppure rinviata a giudizio, e quindi non può essere considerata colpevole.

A rigor di norme, dunque, le cose devono procedere così: il politico arrestato incassa Tfr e vitalizio; se poi sarà condannato, risarcirà i danni. Questo a rigor di norme. Ma a rigor di logica e di buon senso, non si può dar torto a chi reagisce a notizie del genere con sbigottimento e anche con rabbia. Ieri il presidente del Senato Schifani ha tirato un po’ le orecchie ai giornalisti, dicendo loro che spesso alimentano nella gente un pericoloso sentimento di «antipolitica»: avrà le sue ragioni, ma sarebbe interessante sapere se pensa che anche una vicenda come questa rientri nelle esagerazioni della stampa. O se spesso non siano gli stessi politici a dare di sé l’idea di una (tanto per usare un termine abusato) «casta».

Intanto, le stesse cifre in ballo fanno immediatamente scattare paragoni imbarazzanti. Quale lavoratore, anche dirigente d’azienda, prende 340.000 euro più un vitalizio di cinquemila euro a mese per vent’anni di servizio? Possiamo pensare davvero che gli italiani debbano digerire somme del genere proprio nel momento in cui si chiede loro di andare in pensione più tardi? Altro paragone imbarazzante: un dipendente di una ditta privata che venisse arrestato con l’accusa di aver rubato sul lavoro, sarebbe invitato a dimettersi con tutti i diritti e le prebende, o verrebbe licenziato in tronco?

Ma poi: che questa sia una di quelle notizie destinate a dar scandalo, è testimoniato dalle parole pronunciate dallo stesso presidente del Consiglio Regionale, il leghista Davide Boni (e quindi alleato con Nicoli Cristiani, che è del Pdl). «Ci aspettiamo un segnale importante dalla giunta», ha detto Boni, che suggerisce a Roberto Formigoni una via d’uscita. Se infatti la Regione si costituisse parte civile, il Tfr e il vitalizio verrebbero congelati; in caso contrario, i pagamenti dovrebbero essere eseguiti entro sessanta giorni. «Non sono convinto che la costituzione di parte civile possa bloccare liquidazione e vitalizio – dice Pippo Civati, consigliere regionale del Pd – ma in ogni caso la giunta la dovrebbe presentare, anche per dare un segnale politico».

Interpellato, Formigoni fa sapere dal suo staff che tecnicamente la Regione non si può ancora costituire parte civile, non essendoci un rinvio a giudizio; e che comunque sta valutando la possibilità di farlo. Decidesse per il no, ci sarebbe da stupirsi. Intanto perché, poco dopo l’arresto di Nicoli Cristiani, Formigoni intervenne in aula con parole molto dure. E poi perché darebbe l’impressione che le istituzioni non si sentono danneggiate da chi finisce in galera per corruzione. Il che sarebbe un danno ancora maggiore dei 340.000 euro che stanno per uscire dalle tasche dei contribuenti.

La Stampa 22.12.11