L’emergenza lavoro è da tempo un dramma nazionale ed europeo. Una condizione che secondo le previsioni più recenti è destinata ad aggravarsi il prossimo anno, allorché l’area euro entrerà in una fase recessiva, a seguito soprattutto delle politiche di austerità che l’Europa ha imposto a tutti gli Stati membri. Risvolti particolarmente pesanti si avranno per il gruppo dei Paesi più indebitati, inclusa l’Italia. Un andamento dell’attività economicacaratterizzato da elementi di fragilità addizionali rischia di determinare nel nostro Paese – anche tenuto conto della manovra in corso di approvazione – una contrazione del Pil particolarmente severa (intorno al -2/2,5 per cento), destinata a protrarsi anche l’anno successivo secondo previsioni più recenti.
In questo quadro di riferimento, è evidente che la necessità di contrastare tale diminuzione della produzione deve divenire una priorità assoluta della nostra politica economica, a meno di non rassegnarsi a veder vanificati gli sforzi fin qui fatti. In termini assai sintetici tutto ciò richiederà al governo Monti di eleggere il rilancio della crescita economica ad obiettivo chiave della sua azione finalizzando, a partire da gennaio, ogni suo intervento all’avvio a soluzione di tale problema. Con una serie di risposte che dovranno essere rapide, forti e coraggiose almeno a due livelli, nazionale e europeo. Sul fronte interno, lo sforzo va dispiegato dando attuazione in tempi rapidi a misure incisive concentrate su pochi selezionati capitoli, ben noti al confronto e al dibattito politico di questi anni. Si tratta, innanzi tutto, di assicurare la realizzazione, alle migliori condizioni possibili, di un insieme di infrastrutture, materiali e immateriali, che rappresentano snodi vitali per un più efficiente
funzionamento del sistema produttivo; in tema di mercato del lavoro serve soprattutto una rapida riforma degli ammortizzatori sociali che sposti le tutele dal posto di lavoro ai lavoratori, favorendone dove necessario la mobilità, unitamente a quella dei capitali, verso le imprese e settori più dinamici e a più alta redditività; per dare maggiore stimolo all’attività di produzione e all’occupazione va altresì ridotta la pressione fiscale su imprese e lavoro che in presenza del record storico (45,5%) raggiunto con l’ultima manovra ne sopportano oggi gli oneri maggiori. Sono tutti interventi che certamente costano e andranno finanziati utilizzando risorse disponibili e reperendone di nuove. A questo scopo, fonti importanti a cui attingere saranno siauna sistematica razionalizzazione delle singole voci di spesa pubblica, per accrescerne efficienza e risparmi, sia una più risoluta azione di contrasto all’evasione fiscale in grado di far emergere base imponibile. C’è poi, naturalmente, il capitolo importante delle liberalizzazioni e delle misure per stimolare la concorrenza e sucui il governoMonti è per ora riuscito a fare poco. Molto, viceversa, resta da fare, non solo per taxi e farmacie, ma
anche per i servizi locali, per molti dei servizi in concessione, per le professioni. Ricordando che misure di liberalizzazione oltre a rappresentare riforme a costo zero, in qualche modo essenziali per il rilancio della crescita, si possono tradurre in un ritorno positivo netto per l’intera economia. Certo, la ricetta per la crescita è composta da molti altri ingredienti. Al di là dell’importanza delle singole misure, tuttavia, è decisivo che esse siano inserite inun quadro complessivo e organico,
una sorta di piano di azione per il rilancio della crescita e dell’occupazione, che ne assicuri la loro coerenza interna e la loro efficacia, nel breve e lungo periodo. La gravità dei problemi
da fronteggiare e la loro natura di mali antichi richiedono che la politica economica si riappropri in questa fase di tutta la sua capacità razionalizzatrice, resa ancor più necessaria dalla scarsità delle risorse pubbliche disponibili. Anche perché da anni manca un tale disegno organico, che potrebbe servire molto anche a rassicurare chi deve investire nella nostra economia. Come si è detto all’inizio, ci vuole una forte
azione del governo anche a livello europeo, per cercare anche qui di mettere incampo strumenti di difesa dal contagio sui mercati dei titoli e interventi diretti a contrastare gli effetti della incombente recessione. Le difficoltà in questo caso sono ben maggiori, com’è noto. Per quanto alla lunga non si potrà evitare – pena la fine dell’euro – sia l’aumento di poteri della Bce sia una vera Unione fiscale con l’introduzione di Eurobond, si tratta in questa fase di convincere la Germania ad abbandonare parte delle sue rigidità, che rischiano di letteralmente affondare l’intera area europea e con essa la stessa economia tedesca.
Forte delle misure approvate e tenendo anche conto delle massicce correzioni adottate in estate, il presidente Monti potrà a questo punto richiedere con forza che anche i nostri partner europei facciano la loro parte, uscendo dall’ossessione di un’austerità fine a se stessa. Il sostegno alla crescita della Ue è oggi un problema di supporto alla domanda e allo stesso tempo di necessaria ristrutturazione dell’offerta. Tra gli strumenti chiave per intervenire vi sono gli investimenti europei, che si possono mobilitare sia attraverso il bilancio comunitario, nel nuovo quadro finanziario pluriennale, sia attraverso la Banca europea per gli investimenti (Bei). Quest’ultima potrebbe aumentare anche fino a tre volte la sua attuale capacità di finanziamento annua (oggi pari a 80 miliardi di euro) per soddisfare bisogni d’investimento individuati da tempo in Europa in un insieme di comparti vitali (ricerca, reti infrastrutturali, energie rinnovabili e altre) che vengono oggi sacrificati in parecchi Stati membri per mancanza di risorse. Il presidente del Consiglio ha ribadito che, fortificato dalla manovra, agirà con lamassima determinazione a livello europeo. Sicuramente bisognerà farlo e quanto prima perché le prossime settimane saranno determinanti per scongiurare il peggio.
L’Unità 21.12.11