Ha ragione il ministro Francesco Profumo: la valutazione deve entrare nel Dna del nostro sistema di ricerca e di istruzione superiore, se vogliamo migliorarlo. Per questo salutiamo con favore l’avvio della Valutazione della qualità della ricerca 2004-2010 presentato ieri a Roma da Stefano Fantoni e Sergio Benedetto alla presenza del nuovo ministro, ben cinque anni dopo la costituzione dell’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca voluta dal governo Prodi e, in particolare, dall’allora ministro dell’Università e della Ricerca, Fabio Mussi. Lo screening coinvolgerà 95 università, 12 Enti pubblici di ricerca vigilati dal Miur e 24 altri Enti pubblici e privati che hanno chiesto di essere valutati; vagliando il lavoro di 65.000 tra docenti universitari e ricercatori degli Enti pubblici di ricerca, per complessivi 216.000 prodotti. Sarà certo un lavoro enorme. Che impegnerà oltre 450 esperti in un processo che si concluderà il 30 giugno 2013, con la pubblicazione di un rapporto finale. Il costo dell’operazione è di 10,5 milioni di euro. Sarà, soprattutto, un lavoro necessario. Perché affermerà il valore del merito in un sistema che quel valore in larga parte già lo conosce. Ma, proprio perché il primo passo è stato fatto (finalmente) e noi lo abbiamo salutato con sincero favore, entriamo nel merito del sistema di valutazione. Tre ci appaiono i punti essenziali da mettere a fuoco. Primo. La qualità della nostra ricerca è buona, in alcuni settori eccellente. Èla quantità dei ricercatori che è carente. Se l’Italia recupera solo l’8,5% delle risorse europee destinate alla ricerca, sebbene il Paese contribuisca per il 15% alla dotazione del fondo comune, non è per scarsa qualità, ma per scarsa quantità: gli scienziati italiani sono in numero molto inferiore a quelli di Germania, Francia, Regno Unito e anche Spagna. Secondo. I parametri bibliometrici proposti dall’Anvur sono necessari per la valutazione del merito, ma non sufficienti. Occorre avere il coraggio di proporre strumenti più raffinati, purché utilizzati da in maniera rigorosa da valutatori “terzi”. Terzo. Il più grande problema del sistema di ricerca e di istruzione in Italia è la burocrazia. Ove ce ne fossimo dimenticati, hanno provveduto a ricordarcelo le clamorose dimissioni rassegnate ieri, per motivi burocratici appunto, da Domenico Giardini, il presidente appena nominato dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Uno scienziato italiano di grande valore, docente del prestigioso Eth di Zurigo, cui di fatto viene impedito di tornare in Italia.
L’Unità 21.12.11