Se non è uno spot pubblicitario è un’ottima intenzione. L’annuncio del ministro Profumo di un maxi concorso per 300mila candidati a un posto da docente nella scuola italiana è un’ottima notizia, perché reintrodurrebbe dopo 12 anni lo strumento del concorso pubblico come forma legittima di reclutamento, riconoscendone la valenza legislativa che gli conferisce la normativa vigente. Ma l’annuncio va declinato nel contesto attuale: una scuola deprivata di parti sostanziali di organico; una definizione dell’organico desueta, che alimenta il precariato senza dare continuità alle esperienze didattiche; la mancanza di ordinamenti che abbiano come fine il miglioramento del sistema dell’istruzione pubblica e non i tagli lineari del duo Gelmini-Tremonti. Su tutto campeggiano i numeri del precariato della scuola che ha nelle graduatorie a esaurimento il suo emblema, ma che si alimenta anche degli apporti di coloro che sono abilitati all’insegnamento e non iscritti nelle graduatorie e di coloro che pur non essendo abilitati, vantano un percorso professionale di interi anni scolastici. La Gelmini, tramite apposito regolamento del dicembre 2010, ha licenziato i percorsi abilitanti, i cosiddetti Tfa, che ancora devono decollare ma che intanto alimentano la speranza di tutti coloro che, laureati da tempo o neo laureati, aspirano a un posto di docente nella scuola. Di che cosa ha bisogno la scuola italiana, che si ringiovanisca il corpo docente? Sicuramente, ma anche di continuare ad avvalersi delle professionalità sperimentate in anni di esperienza dei docenti che ambiscono al riconoscimento della stabilizzazione. La normativa vigente assegna al concorso il50%dei posti disponibili e l’altro 50% alle graduatorie a esaurimento ed è questa la strada da continuare a percorrere se non si vuole cadere in un finto giovanilismo, teso a innescare una nuova forma di reclutamento che faccia dimenticare i tagli operati dalla Gelmini, sigillando col cemento i centomila licenziamenti determinati da quei tagli. Come già detto, l’annuncio del concorso è una notizia positiva, ma deve accompagnarsi ad alcuni atti propedeutici fondamentali: una ricognizione di tutti i posti disponibili, a vario titolo, per le immissioni in ruolo; una ricognizione dei posti necessari a restituire alla scuola la dignità calpestata dai tagli della Gelmini; una presa in carico del piano di stabilizzazioni triennali promesso dal patto di stabilità dello scorso anno e compromesso dalle vicende della riforma Fornero del sistema previdenziale, che non manda in pensione più nessuno, impedendo quel ricambio generazionale tanto invocato. Solo partendo da un obiettivo ben definito che coniughi la qualità della scuola italiana col problema occupazionale si potrà parlare di concorsi per l’accesso all’insegnamento.
❖Segretario generale FLC CGIL
L’Unità 21.12.11
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“Modello aziendalista addio, è ora di cambiare”, di Benedetto Vertecchi – Docente di Pedagogia di RomaTre
Da troppo tempo l’accesso all’insegnamento è precluso a chi ha tutti i titoli. Ma niente tuffi nel passato: oggi servono profili professionali più adeguati. L’annuncio che presto sarà bandito un concorso per il reclutamento degli insegnanti non può che essere interpretato che come un segnale della gravità della crisi nella quale si dibatte il nostro sistema scolastico. Dopo anni di politica per il personale consistita solo in tagli, si prende atto dei guasti che in tal modo si sono operati e si corre ai ripari. Certamente c’è bisogno di procedere a un nuovo reclutamento, sia per ricostituire una condizione di funzionalità educativa oggi gravemente compromessa, sia per far fronte alla sostituzione degli insegnanti che saranno collocati a riposo, anche se con qualche ritardo rispetto a quanto si poteva ipotizzare prima delle modifiche recentemente proposte nella disciplina del pensionamento. Da troppi anni l’accesso all’insegnamento è precluso a quanti, pur avendo titolo a svolgere tale attività, si trovano respinti ai margini del lavoro nelle scuole per effetto di una riorganizzazione dell’attività didattica fondamentalmente rivolta a contenere i costi del personale. In questi anni il problema degli insegnanti è stato, per il governo, soprattutto una questione di riduzione degli organici. A tale riduzione ha corrisposto un’analoga riduzione del servizio prestato, in termini sia di contenuti (è diminuito l’orario di funzionamento delle scuole), sia dei modi in cui l’educazione è organizzata e praticata, con gruppi di allievi sempre più numerosi e con una progressiva attenuazione dell’attenzione posta al soddisfacimento di specifiche esigenze (ad esempio degli allievi con problemi di sviluppo mentale o difficoltà di socializzazione). La gestione del personale da parte dei governi di destra si è ispirata a un modello di educazione scolastica fondato su una nozione competitiva del merito, la cosiddetta meritocrazia. Ma si è trattato solo di una copertura ideologica. Gli interventi che hanno interessato gli ordinamenti sono stati, infatti, del tutto scoordinati, volti com’erano a conseguire un’astratta efficienza di sistema. È invece mancata una visione di sistema specificamente interpretata in chiave educativa. Alla gestione della scuola è stato malamente adattato un modello saturo di suggestioni aziendaliste, orientato ai tempi brevi e insensibile alle esigenze di un progetto di intervento, com’è necessariamente quello educativo, orientato al tempo lungo. Gli insegnanti sono stati spinti all’inseguimento di obiettivi da verificare rapidamente, senza che siano stati presi in considerazione i problemi posti dalla necessità di trasformare profili che dipendono dalla scuola quanto dalle interazioni culturali che si stabiliscono sul piano sociale. Sarebbe stato necessario approfondire, anche sul piano comparativo, i mutamenti in atto nella domanda di educazione scolastica: ciò avrebbe richiesto investimenti per la ricerca e per la formazione professionale degli insegnanti, ma avrebbe consentito di rivolgere il sistema al conseguimento di quella qualità educativa che oggi sembra tanto difficile conseguire. Ci troviamo ora di fronte ad un reclutamento per concorso che appare un tuffo nel passato, perché per troppi versi non può che richiamare profili professionali che apparivano inadeguati già in occasione della precedente tornata. È vero che nel frattempo molti aspiranti all’insegnamento hanno seguito nuovi percorsi di studio, ma è anche vero che preme ancora alle porte della scuola un gran numero d’insegnanti la cui preparazione (spesso culturalmente di buon livello) era avvenuta secondo le precedenti regole. Il fatto è che non si può separare la questione degli insegnanti da quella più generale della direzione che s’intende imprimere allo sviluppo del sistema. Oggi gli elementi d’incertezza riguardano questioni centrali, come la durata dell’istruzione obbligatoria o la distinzione al suo interno – ammesso che abbia ancora un senso – tra livello primario e secondario. E riguarda la stessa interpretazione della funzione educativa, a cominciare dall’idea di utilità, individuale e sociale, a essa sottostante. Si dovrebbe, quanto meno, nel procedere al reclutamento di nuovo personale, avviare iniziative per promuovere, dopo anni d’ignavia, l’elaborazione di una nuova cultura per l’educazione.
L’Unità 21.12.11
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“Profumo: Il concorso per docenti a metà 2012 e poi ogni due anni”, da La Tecnica della Scuola
L’annuncio è stato fatto durante la trasmissione de La7 “Otto e mezzo”: servirà a dare equilibrio tra esperienze e aspettative per i giovani, che non possiamo sempre tenere indietro. E sugli aumenti degli stipendi dei prof dice: si potrà parlarne nel momento in cui ci sarà una ripresa, serve la serenità di capire qual è la situazione. Il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, fa sul serio: dopo aver a sorpresa annunciato la volontà di organizzare, dopo 13 anni, un maxi concorso per docenti ha detto anche che le prove si svolgeranno nella seconda metà del 2012. Profumo ha rivelato l’intenzione durante la trasmissione de La7 ‘Otto e mezzo’ del 20 dicembre.
Davanti alla presentatrice Lilli Gruber e agli altri ospiti, il Ministro ha colto l’occasione per correggere il “tiro” sui numeri sui potenziali interessati alla selezione dichiarati poche ore prima (aveva parlato di ben 300mila docenti): Profumo ha specificato che oggi ci sono circa 200mila persone in graduatoria, a cui aggiungere altri 20mila giovani, che sono nelle condizioni di affrontare il concorso. Sottolineando poi che, a fronte di un’età media degli insegnati di 47 anni, “la scuola italiana ha bisogno di un’iniezione di giovani. Dobbiamo trovare un equilibrio tra esperienze e aspettative delle persone e le opportunità per i giovani, che non possiamo sempre tenere indietro. Un’ipotesi potrebbe essere la ripartizione proporzionale tra posti recuperati con le graduatorie e posti che potrebbero essere messi in concorso”.
Il responsabile del Miur ha aggiunto che “c’è bisogno di creatività e gioventù ma anche di esperienza”. Facendo intendere di volere tenere sempre aperta la porta ai precari. Non a caso, Profumo ha ricordato che “la legge attuale prevede che il 50% posti siano assegnati sulla base di graduatorie e il 50% attraverso un concorso pubblico”.
Il Ministro ha anche fatto una scaletta del programma in via di attuazione:”la prima cosa sarà individuare i posti disponibili”, anche a fronte dei pensionamenti di quest’anno e di quelli a venire. A tal proposito “abbiamo fatto una stima sulla base dei pensionamenti pre manovra, che adesso stiamo aggiornando”.
Quella di Profumo non vuole essere un’idea estemporanea. Anzi. L’applicazione della legge in vigore, sulla suddivisione del contingente da immettere in ruolo, riguarderebbe anche la cadenza delle selezioni pubbliche. “Vorrei che i concorsi fossero periodici – ha ammesso il ministro – magari ogni due anni”. Confermando che ne parlerà anche ai sindacati giovedì prossimo nell’incontro fissato al Miur.
Alla domanda se il tipo di concorso dovesse essere di carattere nazionale o regionale (questa seconda ipotesi è stata sposata dal presidente dell’Anp Giorgio Rembado), Profumo ha detto che “è un problema di secondo livello. Stiamo cercando di valutare la domanda: su questa base concorsi in tempi brevi, nel miglior modo possibile e in assoluta trasparenza. Il Paese ha bisogno di rimettere in moto un meccanismo di regolarità, il meccanismo di un Paese normale”.
Durante la trasmissione si è parlato anche dei compensi mensili davvero “magri” che percepisce il corpo insegnante della scuola italiana. Il ministro dell’Istruzione ha messo però subito le mani avanti: “Difficile ora parlare di aumentare gli stipendi degli insegnanti si potrà farlo nel momento in cui ci sarà una ripresa. Ci vuole la serenità di capire qual è la situazione: è difficile oggi parlare di aumento di stipendi degli insegnati – ha aggiunto il ministro – : penso che ora si debba lavorare sull’autotistima, crearsi una reputazione, nel momento in cui ci sarà una ripresa, potremmo parlare anche di un aumento degli stipendi”. Una risposta da contenuti che piaceranno poco ai docenti, ma sicuramente sincera. Oltre che ovvia, alla luce della situazione economica in cui versa il Paese come tutta l’economia internazionale.
La Tecnica della Scuola 21.12.11