attualità, politica italiana

"Il partito degli smemorati", di Michele Brambilla

È ricomparso ieri il più importante dei ministri del governo Berlusconi, Giulio Tremonti. Intervistato su Rai Tre da Lucia Annunziata, ha criticato la manovra del governo Monti: «Troppe tasse, pochi tagli alla spesa pubblica e niente per la crescita», ha detto in sintesi. È probabile che, sentendolo, molti suoi colleghi di partito (o forse «ex» colleghi, visto che Tremonti ha cominciato la trasmissione dicendo che ormai «lavora in proprio», e l’ha finita non smentendo un suo passaggio alla Lega) si siano stropicciati gli occhi, credendo di sognare. Sono quei molti esponenti del Pdl che in questi anni hanno accusato proprio Tremonti di essere il «signor no» che ha bloccato ogni iniziativa volta alle liberalizzazioni, alla crescita, al taglio delle tasse. È vero che in questo Paese si dimentica tutto in fretta: ma ci vorrebbe un clamoroso deficit di fosforo per scordare che proprio all’interno del Pdl Tremonti è stato contestato da tutta un’ala (Brunetta, Crosetto e molti altri, per non dire di Martino che ormai da molto tempo è fuori dai giochi) che l’ha accusato di essere un ministro più statalista che liberista.

E non è un mistero che lo stesso Berlusconi abbia più volte considerato Tremonti un ostacolo alla linea che avrebbe voluto seguire.

Sempre facendo un piccolo sforzo di memoria, ci si ricorderebbe che nella manovra proposta in agosto da Tremonti era addirittura previsto un aumento dell’Irpef chiamato «contributo di solidarietà», nome un po’ beffardo perché di solito si solidarizza con i terremotati e con gli alluvionati, non con il debito pubblico. Furono due quotidiani di centrodestra come «il Giornale» e «Libero» a fare una campagna contro quell’aumento delle tasse, che alla fine fu ritirato dal governo.

Ma d’altra parte proprio lo stesso Tremonti ieri da Lucia Annunziata ha ricordato quanta ostilità abbia ricevuto, all’interno del Pdl, per le sue scelte considerate «poco coraggiose», tutte rivolte al contenimento dei conti e non allo sviluppo. «Dopo le sconfitte elettorali di maggio – ha detto – ci sono stati interventi estemporanei nella nostra coalizione da parte di personaggi che volevano più coraggio, non comprendendo che interventi di quel tipo si sarebbero potuti fare solo in Paesi senza debito pubblico». Più avanti ha aggiunto che la maggioranza è andata in crisi proprio perché «da maggio in poi è emersa una classe politica che non voleva seguire il rigore».

E dunque come può Tremonti oggi criticare una manovra che è certo criticabile, ma che va in gran parte nella direzione di quelle che ha fatto lui, e che è perfino stata scritta da molti uomini che erano con lui al ministero dell’Economia? Ieri Tremonti, poi, ha detto pure che uno dei gravi problemi dell’economia italiana è la mancanza di libertà, visto che «un imprenditore non può neanche tirare su un muretto». Giustissimo: però da chi è stata governata, l’economia italiana e non solo l’economia, negli ultimi dieci anni?

Ma sarebbe sbagliato accusare di incoerenza solo Tremonti. Il suo è un atteggiamento molto diffuso. Lo stiamo vedendo in queste quattro settimane di governo Monti: da Berlusconi che dà del disperato al nuovo premier alla Gelmini che si lamenta per la manovra e per le tasse; dai deputati del Pdl che disertano l’Aula perché hanno il mal di pancia alla Lega che urla contro Roma e contro la crisi. Tutte cose comprensibili e a volte condivisibili. Ma a tutti costoro viene spontaneo rivolgere la stessa domanda di prima: scusate, non c’eravate voi, al governo, fino a un mese fa? E non ci siete stati per otto anni negli ultimi dieci?

La smemoratezza di questi giorni è in realtà un qualcosa di già visto, un vizio che colpisce tutti, destra e sinistra e in fondo ognuno di noi, che appena passiamo da un ruolo di governo (di qualsiasi genere) a un ruolo di opposizione (di qualsiasi genere) ci dimentichiamo quanto sia difficile fare e quanto sia facile criticare.

La Stampa 19.12.11