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"Frequenze TV asta avanti tutta", di Stefano Balassone

A tutti è chiaro che le frequenze dovevano essere assegnate al monopolio bicipite di Rai e Mediaset per consolidare gli assetti del mercato della pubblicità televisiva e arricchire il valore patrimoniale dell’azienda di proprietà del leader del centrodestra italiano. In questa fortezza del conflitto di interessi si è aperta una falla venti giorni dopo che la destra si è spaccata in malo modo fra ala populista (la Lega) e federazione delle corporazioni (il Pdl). A questo punto è naturale chiedersi se il varco che si è aperto in Parlamento sia abbastanza largo e duraturo per mettere in discussione l’intero sistema di protezione degli interessi di Mediaset. A favore del sì pende il sospetto che la Lega, nella versione Roberto Maroni, abbia interesse a ereditare per davvero il grosso dell’elettorato del Pdl e diventare definitivamenteuna specie di Csu (il partito cattolico bavarese federato ai cristiano democratici tedeschi) in dimensione padana. Per il no, cioè per tirare avanti con il duopolio anche rabberciato, milita la consapevolezza che il socio pubblico, la Rai, non sembra avere la minima idea e neppure, siamo onesti, la minima possibilità – con l’attuale sistema di governance – di elaborare un piano B (e cioè che senso strategico dare alla propria presenza in Italia e nel mondo).
Toccherebbe quindi alle forze politiche sbloccare la situazione, sbloccando innanzi tutto la Rai dalla loro molesta influenza. Ma ovviamente qualsiasi mossa in questa direzione metterebbe a rischio mortale il governo Monti (e noi speriamo che ciò non accada). Che fare allora in una situazione che si è comunque messa in movimento, anche se i margini di manovra
sono davvero pochi? Bene, potrebbe essere la volta buona perché le forze politiche, che nelle circostanze attuali sono libere da vincoli di alleanza, anche quelle che sostengono il governo, dichiarassero all’elettorato che cosa farebbero per liberalizzare il settore della comunicazione e dargli un vero avvenire industriale, visto che anche qui si gioca il tema dello sviluppo e della occupazione. Nella stretta del duopolio, in venti anni questo settore della nostra industria ha perso addetti, per non parlare delle quote del mercato mondiale, prossime allo zero (uno zero seguito,dopo la virgola, da ulteriori zeri). Eppure è proprio in questo settore, in cui la nostra occupazione è precipitata, che gli altri Paesi hanno fatto giganteschi passi avanti. Se esistesse lo spread della industria audiovisiva, quello dei titoli di Stato, che tanto ci fa soffrire, sembrerebbe un problema minore.
Attenzione, come piace al metodo Monti, lo sblocco dell’industria audiovisiva è la classica questione dove la ripartizione del dolore sarebbe equidistribuita, perché davanti
alla prospettiva di una liberalizzazione vera molti declamatori anti Mediaset si scoprirebbero più cautelosi e reticenti dei farmacisti di fronte alla perdita dell’esclusiva dei farmaci di fascia C. E quindi se oggi, forse, Berlusconi perde il regalo delle frequenze, domani tanti avrebbero a dolersi per la perdita di sovvenzioni o per la perdita della funzione di collateralismo
partitico in cui prospera l’interpretazione più becera della funzione del servizio pubblico. Provate a indovinare come andrà, se vi va.

L’Unità 18-12-11