All’ingresso dell’Associazione Famigliari delle vittime dell’amianto c’è un albero di Natale con un cartello: «Non accettiamo pacchi natalizi da Schmidheiny». Stephan Schmidheiny è un miliardario svizzero ed è stato l’ultimo proprietario della Eternit. Il pacco che ha offerto per Gesù Bambino contiene diciotto milioni di euro e dovrebbe risarcire la città per i danni che la sua fabbrica ha prodotto: milleottocento morti fino ad oggi, e chissà quanti altri in futuro. Il Comune ha deciso di accettare ma i familiari delle vittime non ci stanno: «Non si scende – dicono – a patti con il diavolo». La Eternit a Casale è aperta nel 1907 e ha chiuso a metà degli Anni Ottanta. Produceva un materiale tanto resistente da sembrare, appunto, eterno: ma l’eternità che procurava è quella dell’altro mondo. La polvere di amianto prodotta dal logoramento dei tetti, e soprattutto quella usata nei selciati come ghiaia e nei sottotetti come coibentante è entrata nei polmoni e ha provocato malattie terribili: l’asbestosi e soprattutto un cancro chiamato mesotelioma pleurico, che non dà scampo. Sono morti prima i lavoratori, poi anche persone che non sono mai state in fabbrica, perché la polvere d’amianto è stata lasciata in giro dappertutto in città.
Ancora oggi a Casale ci sono cinquanta nuovi casi di mesotelioma all’anno; e siccome l’incubazione è di trent’anni, si calcola che il massacro continuerà fino al 2020, più o meno. Il prossimo 13 febbraio a Torino verrà emessa la sentenza al processo per disastro doloso permanente: «doloso» perché secondo l’accusa, e secondo molta letteratura medica, l’azienda sapeva bene della pericolosità dell’amianto. Gli imputati sono gli ultimi due proprietari della Eternit: uno è appunto Schmidheiny; l’altro è il belga Jean Louis De Cartier de Marchienne. Per loro il pubblico ministero Raffaele Guariniello ha chiesto vent’anni di carcere. Nessuno dei due si è mai fatto vedere al processo. Ma mentre il belga – ultranovantenne – ha scelto il disinteresse totale, Schmidheiny, che tiene molto ad essere accreditato come filantropo ed ecologista, ha almeno cercato una transazione con le parti civili, offrendo risarcimenti. Tra i quali appunto questi diciotto milioni per il Comune. Giorgio Demezzi, ingegnere, 63 anni, sposato e padre di tre figli, Pdl, è il sindaco di Casale Monferrato. è lui che ha deciso di accettare l’offerta.
Lo incontriamo in Comune e sembra l’uomo più tormentato del mondo: si alza continuamente e parla camminando avanti e indietro. «Se dovessi dar retta all’emozione e al cuore, direi di no: nessuna cifra può risarcire il danno che ha subìto Casale. Ma come amministratore ho delle responsabilità: abbiamo chiesto un parere a un grande giurista e ci è stato risposto che se non accettiamo la transazione difficilmente verremo risarciti perché sarebbe difficile far eseguire una sentenza all’estero». Continua: «Capisco chi ha avuto familiari morti. Ma non mi vanno le mistificazioni. Ho letto che diciotto milioni vorrebbero dire diecimila euro per morto: è assurdo! I diciotto milioni sono per i danni subiti dal Comune. Per le morti ci sono altre richieste di risarcimento promosse dai familiari».
In realtà i familiari ancora in causa come parti civili sono poche centinaia. Più di mille famiglie hanno già chiuso la transazione con lo svizzero Schmidheiny: in media, hanno ricevuto 23.000 euro a testa, una cifra che dà la misura del valore della vita secondo gli ex proprietari della Eternit. «I familiari hanno accettato perché sono stati presi per la gola: a Casale c’è stata e c’è ancora una crisi terribile», dice Nicola Pondrano, che negli Anni Settanta era un operaio della Eternit e fu uno dei primi a reagire alle troppe morti sospette, scuotendo un sindacato ancora troppo preoccupato dall’idea di una possibile perdita di posti di lavoro. Adesso è contrario alla transazione dei diciotto milioni anche perché teme che possa influenzare la sentenza: «Schmidheiny ha già dato 23 milioni alle vittime, 5 e mezzo al Comune di Siracusa e due a quello di Cavagnolo. Se ne dà altri diciotto al Comune di Casale, in totale sono cinquanta milioni: difficile che un giudice non ne tenga conto». E invece qui a Casale si vuole una condanna esemplare. Assunta Prato è la vedova di Paolo Ferraris, l’assessore regionale che fece avere i primi finanziamenti per le bonifiche e che poi si ammalò di mesotelioma. «Se uno pensa solo alla convenienza – dice – il discorso del sindaco non fa una grinza. Ma Casale ha subito una ferita tale che non può essere sanata con alcun risarcimento economico. Vogliamo giustizia, non un accordo con chi ha procurato quella ferita». è anche per un segnale che si vuole dare a tutto il mondo, perché l’Eternit viene ancora prodotto: in Cina, in India, in Brasile, con gli operai usati come carne da macello. «E poi il danno – aggiunge Pondrano – non è solo passato. è anche presente e futuro: dall’inizio del processo, 10 dicembre 2009, a Casale ci sono stati 128 nuovi malati. Adesso l’incubo è per chi era bambino quando qui c’era la fabbrica».
«Pensi – ci dice Bruno Pesce, sindacalista, fondatore del comitato delle vittime – quale reazione psicologica può avere un malato di fronte all’accordo tra il Comune e la Eternit. S’è detto che questa storia per Casale è una ferita profonda: bene, accettare quei diciotto milioni è come spargere del sale su questa ferita». Insomma al sindaco si imputa una mancanza di sensibilità. Racconta la signora Romana Blasotti Pavesi, che ha 83 anni e per l’amianto ha perso il marito, una figlia, una sorella e due nipoti: «Venti giorni fa Demezzi è venuto a casa mia e mi ha detto che lui non ha mai avuto un malato in famiglia. Ecco, credo che anche per questo non ci capisca. Mi spiace dirlo, ma è venuto al processo solo una volta, per essere interrogato, e per dire che la sua amministrazione non era competente». Eppure lui, Giorgio Demezzi, giura: «Questa storia è un dramma e mi resterà sempre dentro».
La Stampa 17.12.11
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