In cima alla lista ci sono il taglio del debito pubblico, la riforma del mercato del lavoro e il rilancio della crescita, azzoppata dall’ennesima (ma inevitabile) manovra finanziaria. Il governo è solo all’inizio del suo lavoro: come dimostrano le pressioni di partiti e lobby contro le liberalizzazioni, l’agenda Monti è lunga e piena di incognite. Il primo scoglio sarà la prossima settimana, quando il decreto salva-Italia sarà in Senato per la sua approvazione definitiva. Il governo ha detto sì a diversi ordini del giorno, dunque si è impegnato a farli propri nella manovra. Lo farà? Alcuni di questi riguardano materie delicatissime, come la gara per l’assegnazione delle frequenze del digitale terrestre o la modifica della norma che esclude gli immobili della Chiesa dal pagamento dell’Imu. «Io disperato? Sono pieno di speranza», diceva ieri il premier rispondendo a Berlusconi. Per fare il lavoro che lo attende, ce ne vogliono dosi massicce.
Pensioni & famiglie
Lavoratori precoci e penalizzazioni i ritocchi possibili
Ritocchi al pacchetto pensioni ce ne sono già stati: dalla norma che salva l’indicizzazione degli assegni fino a 1400 euro e l’introduzione di un contributo di solidarietà per chi riceve più di 200mila euro annui. Ora però i partiti che sostengono il governo chiedono, durante il passaggio in Senato, altre due modifiche. Un ordine del giorno accolto dal governo e firmato da Pd, Pdl e Udc, chiede di intervenire a favore dei lavoratori «precoci», tutti coloro che hanno iniziato a lavorare molto giovani, oggi vicini ai sessant’anni e che per via della riforma dovrebbero attendere diversi anni prima di avere la pensione: fra questi molti sono in mobilità o cassa integrazione, e di qui a poco rimarranno senza lavoro. Di qui la richiesta di riconoscergli il diritto alla pensione secondo le vecchie regole. L’altro ordine del giorno chiede la modifica del sistema delel penalizzazioni per chi, pur avendo raggiunto i requisiti di anzianità contributiva (42 anni e un mese per gli uomini, 41 anni per le donne) ma non l’età minima, saranno costretti a subire le penalizzazioni previste dalla manovra per l’uscita anticipata. Dopo la stangata della reintroduzione dell’Ici, i partiti chiedono anche qualche intervento a favore delle famiglie. Ieri il Pdl ha ottenuto dal governo il sì ad un ordine del giorno per introdurre «quanto prima» il quoziente familiare «in ogni forma di tassazione diretta». Si tratta però di un obiettivo molto difficile nel breve periodo: un abbattimento delle tasse sulle persone fisiche costa caro alle casse dello Stato.
Fisco & lotta all’evasione
Troppe nuove tasse ma si può sfoltire la giungla delle esenzioni
Fatto salvo il pacchetto pensioni, la manovra altro non è che un’enorme stangata su tutto quel che si poteva colpire: la casa, le addizionali regionali, le auto di grossa cilindrata, le barche, la benzina. Secondo le stime di Confindustria, a fine 2012 raggiungeremo la pressione fiscale monstre del 54%. Per evitare una pesante recessione l’unica strada sarebbe quella di una riduzione delle tasse. Viste le condizioni di bilancio, c’è solo da sperare che non aumentino. L’Iva, ad esempio: nelle tabelle della manovra è previsto un aumento delle entrate di altri 13 miliardi di euro a partire dal primo ottobre 2012. Per allora è previsto infatti l’aumento di ben quattro punti di due delle tre aliquote dell’imposta: quella al 10% passerebbe al 12%, quella al 21 al 23%.
Una misura che avrebbe effetti pesantissimi sull’inflazione, oltre che per le tasche degli italiani, ed evitabile in un solo modo: tagliando la giungla delle agevolazioni fiscali in vigore. Dopo una lunga ricerca fra i meandri dell’italico diritto, Vieri Ceriani, l’esperto della Banca d’Italia ora scelto come sottosegretario, ne ha contate seicento. L’alternativa è compensare parte di quel gettito con nuovi tagli ai costi della macchina pubblica o tirare dritto sulla strada della lotta all’evasione. Contro di essa il governo ha già preso alcune decisioni: la riduzione da 2.500 a mille euro del limite per i pagamenti in contanti, ha introdotto una norma che impone a chi ha aderito allo scudo fiscale il pagamento di una sovrattassa, ha ulteriormente rafforzato le norme che permettono al Fisco di controllare i conti bancari. Ma il governo potrebbe fare di più, e il Pd insiste perché ciò avvenga.
Imprese
Per riformare il mercato del lavoro il governo pensa al contratto unico
I pochi sgravi concessi dalla manovra sono stati a favore delle imprese: taglio dell’Irap nella componente costo del lavoro, incentivi alla ricapitalizzazione delle imprese, bonus per chi investe in nuove aziende e per la ricerca. Per far ripartire la crescita italiana ci vuole però altro. In cima ai pensieri del governo c’è una riforma che divide profondamente la politica: quella del mercato del lavoro. Il Pdl è favorevole al superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sul diritto al licenziamento, il Pd è in gran parte contrario.
La soluzione di compromesso alla quale sta lavorando il governo somiglia molto ad un’idea lanciata ormai qualche anno fa dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi: il cosiddetto «contratto unico». Su come applicare il meccanismo circolano diverse ipotesi, ma la ratio è una: garantire al lavoratore neoassunto una garanzia crescente dal licenziamento. In questo modo si supererebbe la dicotomia fra insider ed outsider, fra coloro che oggi hanno un posto di lavoro ipergarantito e coloro che, soprattutto fra i più giovani, ottengono solo contratti a tempo.
Tagli & costi della politica
Enti inutili e stipendi dei grand commis :tutto rimandato
Se c’è un punto sul quale il governo ha fatto meno di quanto si sperasse, è sui costi della politica e della macchina pubblica. Fatto salvo l’accorpamento degli enti previdenziali, l’abolizione delle Province è stata rimandata al 2013, non c’è stato il taglio degli enti inutili, si è introdotto un limite agli stipendi degli alti burocrati, poi ritoccato. Si è affermato un principio (ovvero che nessuno potesse guadagnare più dei 310mila euro del primo presidente della Corte di Cassazione) e lo si è subito negato. L’ultima versione della norma prevede infatti che per le «posizioni apicali delle rispettive amministrazioni» vengano concesse «deroghe motivate». Una pantomima che viene da lontano, sin dai tempi del secondo governo Prodi.
Da premier di un governo per così dire «tecnico», Monti ha l’onere di dimostrare che invece si può e si deve cambiare marcia. Un primo banco di prova saranno gli enti pubblici, che né Prodi né Berlusconi sono riusciti a sfrondare. Dal Cnel all’Aci, dall’Unire al Formez, dall’ente per la Montagna fino allo Svimez la lista degli enti dei quali possiamo fare a meno è lunga. Poi ci sono le società partecipate degli enti locali: Comuni, Province e Regioni che controllano enti o inutili o, nella migliore delle ipotesi, privatizzabili. Secondo le stime di Unioncamere arriverebbero ad essere ottomila: almeno uno per Comune. Ciascuno di questi ha un consiglio di amministrazione formati, molto spesso, da ex consiglieri o ex assessori. Le norme per incentivare le cessioni non mancano ma finora sono state largamente insufficienti.
Privatizzazioni & liberalizzazioni
Sconfiggere le lobby la sfida dell’esecutivo. Poi via alle cessioni
Di quel che c’era nella prima versione della manovra è rimasto poco: niente apertura del mercato delle farmacie, dei taxi, né degli ordini professionali. Le lobby di riferimento hanno ottenuto che quelle norme venissero spuntate. Un peccato anzitutto per i consumatori, che da una maggiore concorrenza potrebbero avere servizi migliori a prezzi più bassi. Ora il premier ha promesso di rimettere mano alla questione. «Le liberalizzazioni sono essenziali alla crescita del Paese», ha detto ieri alla Camera. L’intenzione è quella di farlo a gennaio, in maniera compiuta ma non più per decreto, attraverso il disegno di legge annuale sulla concorrenza e, per quanto riguarda le professioni, con un tavolo fra il ministro Severino e gli ordini. Il governo ce la farà a imporre liberalizzazioni degne di questo nome? Quel che è certo è che dovrà fare i conti con il partito dell’ex premier, il quale ha detto di non considerare le liberalizzazioni una priorità. L’altro grande banco di prova che attende il governo è quello delle privatizzazioni. Con un debito pubblico che ha nuovamente sfondato il muero dei 1.900 miliardi di euro, l’Italia ha bisogno di una cura d’urto per abbattere il costo degli interessi necessari a finanziarlo: oggi sono più di ottanta miliardi di euro l’anno, due terzi dell’intera spesa sanitaria. Dopo essersi avvicinato al 100% in rapporto al prodotto interno lordo, oggi il debito è tornato al 120%, una zavorra insopportabile per un Paese a bassa crescita. L’obiettivo minimo del governo è tornare rapidamente attorno al 100%. Come? Vendendo immobili pubblici (ce ne sono per decine di miliardi) e tutte le partecipazioni: da Poste alla Rai, dalle Fs alla Sace fino alle quote in Eni, Enel e Finmeccanica.
La Stampa 17.12.11