Come si fa a non parlare della “casta” e dei suoi privilegi? Anticipo subito la conclusione di questo articolo: i parlamentari italiani devono decidere (attraverso gli uffici di presidenza delle due camere) di ridurre la loro indennità al di sotto della media europea. Anche negli altri paesi dell’Europa c’è la crisi, ma non si parla di questo? Non importa, noi dobbiamo farlo! Quando si chiedono sacrifici così pesanti ai pensionati e ai lavoratori, come è stato detto, chi sta meglio deve farne di più. Sacrifici. Anzi, in questo caso mi sembra non si debba parlare nemmeno di sacrifici: contenimento, riduzione, ma non sacrifici. Punto.
Ciò premesso e ciò concluso, vorrei aggiungere qualche altra considerazione. Domenica scorsa non c’è stata prima pagina di giornale che non titolasse: i parlamentari si rifiutano di tagliare i loro stipendi. Una grande testata si è limitata a un brevissimo editoriale dal titolo: «Senza vergogna». Per la verità io ne ho provata moltissima. Mi sentivo come un cittadino incolpevole sbattuto in prima pagina senza possibilità di difendersi.
Per di più la liturgia di quel giorno proponeva un testo in cui Giovanni Battista, incalzato da sacerdoti e leviti di Gerusalemme, era costretto a rispondere a domande che mi coinvolgevano personalmente: «Tu, chi sei?», «Che cosa dici di te stesso?». Che cosa dici di te stesso? Bella domanda, che dovrebbe farsi ogni persona, credente o no, in pace o in crisi di identità.
Chi siamo? Cosa facciamo, a cosa serviamo in questa situazione noi parlamentari? Siamo cittadini onesti o ladri, impegnati o oziosi, privilegiati o no? Siamo il problema, come si dice, o la soluzione per uscire dall’attuale crisi? Se fossimo il problema e non rappresentassimo il luogo della soluzione, ci sarebbe da chiedersi perché mai, sindacati, gruppi, associazioni o cittadini isolati vengono davanti alle camere a protestare o a chiedere un po’ di giustizia.
E, se fosse vero ancora che noi siamo il problema, sarebbe lecito chiedersi quale modello di democrazia hanno in testa gli ideatori di campagne tanto feroci contro i parlamentari e, dunque, il parlamento. In questa situazione io penso che abbiamo in primo luogo il dovere di controllare ogni tentazione vittimistica e ogni ritorsione polemica verso altre caste che non sono estranee a questa campagna.
Cosi come non mi sembra utile ri-documentare i passaggi attraverso i quali negli anni recenti (2006-2007-2010-2011) l’indennità e i rimborsi spese per i parlamentari hanno subito forti decurtazioni, argomenti non ascoltati. Né sarebbe utile ricordare che, dati alla mano, la indennità dei parlamentari italiani è già allineata con la media europea (questa è la vera ragione per cui la commissione Giovannini, incaricata di uno studio comparativo, non riesce a formulare una proposta di riduzione.
Del resto non sarebbe neppure necessario scomodare le ambasciate per avere riferimenti oggettivi, basterebbe ricordare che la attuale indennità dei parlamentari europei è stata già parametrata sulla media dei parlamenti nazionali).
È necessario invece prendere atto del fatto che nessun argomento riuscirà a bloccare l’ondata di fango e di rabbia che sta travolgendo il ceto parlamentare italiano. Prendere atto e procedere in tempi brevi a una riduzione volontaria che nessun paragone serio con quanto avviene negli altri parlamenti dell’Europa imporrebbe: ecco perché sostengo che dobbiamo semplicemente accettare una misura inferiore dell’indennità rispetto alla misura media europea. Il clima di sacrifici imposto alla gran parte degli italiani basta a giustificarlo.
E del resto la delegittimazione morale causata da questa legge elettorale toglie ai parlamentari titolo e autorevolezza necessari anche solo a tentare una spiegazione. Tutto ciò, peraltro, non giustifica l’inerzia politica di fronte al degrado di una democrazia che sta provando a vivere senza un parlamento con legittimità riconosciuta. Questo è il problema! Zagrebelsky e Galli Della Loggia hanno cominciato a parlarne proprio in questi giorni. Ma personalmente non credo che ci si possa limitare a esaminare il contesto e le modalità in cui è nato il governo Monti, si dovrebbe capire il perché, una volta indeboliti i cardini di un modello democratico, la soluzione del governo Monti non aveva alternative, e neppure le modalità con cui lo si è fatto nascere.
Si tratta di indagare le ragioni che hanno determinato queste condizioni, capire quali siano gli agenti e le motivazioni esterne e quali le responsabilità interne, cioè della politica. E riconoscere che il contrasto alla sciagurata legge elettorale che ha determinato il divorzio tra eletti e elettori è stato obiettivamente tardivo (già ai tempi del II governo Prodi si doveva porvi rimedio o denunciare chi lo impediva) e troppo debole.
Così come va detto che tardiva e debole è stata la risposta a questa campagna antiparlamentare da parte di chi ne aveva il dovere. La stessa assunzione di responsabilità del parlamento di fronte all’umiliazione delle sue prerogative si è rilevata inadeguata. E, oggi, siamo qui, anche per colpa nostra.
Non ci resta che pagare tutti i prezzi che si possono pagare prima che ne siamo definitivamente costretti, ma non si deve fermarsi lì. Occorre da subito mettere in campo la politica, cioè una risposta forte, capace di restituire dignità e ruolo al parlamento, cioè a quella istituzione che è “grembo” di tutte le condizioni che fanno di una democrazia una democrazia, appunto.
Debbono farlo le forze politiche pensando al dopo, a quel tempo che necessariamente succederà a questa fase di transizione e debbono farlo, anche attraverso una assunzione di responsabilità individuale, i singoli parlamentari, esercitandosi a rispondere a quelle domande difficili che richiamavo all’inizio: «Chi sei?, che cosa dici di te stesso?».
da www.europaquotidiano.it