"Dal mare di Ventotene alle brume di Bruxelles", di Federico Orlando
Partiva settant’anni fa, dalle isole pontine, il messaggio degli Stati Uniti d’Europa di Spinelli, Rossi, Colorni, ispirati da Einaudi e dagli illuministi inglesi del Settecento Deutschland, einig Vaterland, diceva il quarto verso dell’inno nazionale nella Germania comunista. «Sorta dalle rovine,/ rivolta al futuro/ nel bene lascia che ti serviamo,/ Germania, patria unita». Sono versi di una poesia di Johannes Becher. Negli ultimi anni della divisione del paese in Repubblica federale e Rdt, le autorità comuniste evitavano che nelle cerimonie si intonasse anche questa strofa. Ma, per un beffardo gioco della storia, quando il Muro cominciò a crollare, a intonarla furono i berlinesi dell’Ovest, insieme a quelli di Honecker stanchi di dittatura e di separazione. Con la Germania unificata abbiamo fatto in queste settimane, e non è finito, il braccio di ferro, perché la grande idea europeista cammina ancora su “una sola gamba”, la politica monetaria, secondo la definizione di Massimo Giannini. Che si è chiesto se a un’Europa incapace di visione politica comunitaria basterà il «piccolo passo nella nebbia» fatto a Bruxelles dai 27 meno …