attualità, economia, politica italiana

"Effetto IMU", di Massimo Bordignon , Simone Pellegrino e Gilberto Turati

Aver introdotto l’Imu sull’abitazione di residenza rende immediatamente iniqua la manovra Monti? In realtà, l’Imu sulla prima casa ha effetti distributivi meno negativi dell’Ici 2007. Non è così invece per le seconde case, per la contemporanea eliminazione delle rendite catastali dall’Irpef. Una scelta forse da riconsiderare perché assieme alla cedolare secca sui canoni di locazione erode ancor di più la base imponibile dell’Irpef, rendendola sempre più simile a un’imposta sui soli redditi da lavoro e pensioni. E se poi una parte dei “poveri” fossero solo evasori?

Il dibattito politico sulla manovra correttiva varata dal governo Monti si è rapidamente concentrato sulle questioni distributive, soprattutto per quanto riguarda l’anticipo al 2012 dell’Imposta municipale propria (Imu), già prevista nei decreti attuativi sul federalismo fiscale, e la sua estensione all’abitazione di residenza. Per molti, questo la rende immediatamente iniqua; per altri, addirittura sono i ricchi a guadagnarci e i poveri a perderci. Ma è davvero così? Cominciamo ricordando qualche fatto.

LA CASA DEGLI ITALIANI

Il patrimonio delle famiglie italiane è molto ampio in un confronto internazionale. (1) Ma secondo stime recenti, ben l’85 per cento è investito in immobili, per i quattro quinti nella residenza principale (il 70 per cento delle famiglie italiane è proprietaria dell’immobile dove abita), ragione non secondaria della osservata maggior equità nella distribuzione della ricchezza in Italia rispetto a altri paesi. (2) In particolare, dei 32,5 milioni di immobili del gruppo catastale A (dove rientrano le abitazioni) censiti dall’Agenzia del territorio, ben 29,6 sono di proprietà delle famiglie.
Che succede quando questo ingente patrimonio familiare è sottoposto a tassazione? In particolare come si ripartisce il nuovo carico tributario tra le famiglie ricche e quelle povere? Per rispondere, utilizziamo qui un modello di microsimulazione costruito sull’Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia. (3) Questo ci consente di abbinare alle informazioni sulla ricchezza immobiliare, anche quelle sui redditi dichiarati e dunque di offrire qualche risposta all’interrogativo precedente.

LA NUOVA IMU

Prima di illustrare i risultati delle stime, ricordiamo gli aspetti più rilevanti della nuova imposta. Rispetto all’Ici che sostituisce, l’Imu presenta quattro principali novità: a) la base imponibile si ottiene moltiplicando per 160 (e non più per 100) la rendita catastale rivalutata; b) l’aliquota ordinaria sull’abitazione di residenza è del 4 per mille, più contenuta rispetto all’Ici 2007 (in media pari al 5,2 per mille); c) la detrazione concessa per l’abitazione di residenza è pari a 200 euro (circa il doppio della detrazione media prevista dall’Ici 2007, 117 euro); d) per gli immobili non locati (le seconde case non affittate) l’aliquota di riferimento sale al 7,6 per mille (rispetto al 6,1 attuale); tuttavia, per questi immobili, parallelamente all’introduzione dell’Imu, è prevista l’esclusione dall’Irpef delle loro rendite catastali.

L’ABITAZIONE PRINCIPALE

La tabella 1 evidenzia le differenze tra Ici e Imu sull’abitazione principale, considerando rendite catastali rivalutate del 5 per cento da un minimo di 250 euro a un massimo di 1.500 euro. Rispetto all’Ici, aumenta il valore catastale esente dall’imposta: con l’Ici sono esenti le abitazioni di residenza con valore catastale pari a 22.500 euro (applicando l’aliquota media del 5,2 per mille e la detrazione media di 117 euro), con l’Imu si sale fino a 50mila euro (corrispondenti a 31.250 euro con il coefficiente pari a 100 come nell’Ici e l’aliquota del 4 per mille). Per rendite fino a 750 euro si pagherà meno con la nuova Imu, per rendite superiori si pagherà di più. La tabella riporta anche l’effetto qualora i comuni usino la possibilità concessa di aumentare l’aliquota a un valore pari a quella dell’Ici nel 2007 (5,2 per mille).
Consideriamo ora più nel dettaglio gli effetti redistributivi. Il nostro modello stima all’aliquota del 4 per mille un gettito complessivo sulle abitazioni di residenza di 3 miliardi di euro, un po’ più basso rispetto alle previsioni della Relazione tecnica (3,8 miliardi di euro), probabilmente perché nel nostro modello non possiamo tener conto delle “pertinenze” associate alla abitazione principale. La tabella 2 riporta la quota di famiglie che in ogni decile di reddito equivalente detengono la proprietà o l’usufrutto dell’immobile di residenza, la quota di famiglie che pagano l’Imu sull’abitazione di residenza e la composizione del gettito Imu. (4) Le ultime due colonne si riferiscono invece all’Ici del 2007. Come si osserva, la percentuale di famiglie proprietarie dell’abitazione di residenza in ogni decile cresce all’aumentare del reddito: è il 60,2 per cento nel primo decile e arriva all’85,8 per cento nell’ultimo. Un risultato atteso naturalmente, perché ci aspettiamo che famiglie più ricche posseggano con maggior probabilità l’abitazione dove risiedono. Ma non del tutto scontato, perché si tratta qui del reddito “dichiarato”; data l’ampia evasione esistente in Italia, è possibile che alcuni dei redditi bassi facciano riferimento a “finti poveri”, cioè a evasori che dichiarano un reddito inferiore a quello effettivo. (5) Comunque, come si vede dalla tabella, grazie alla detrazione concessa su tutte le abitazioni di residenza, le famiglie che presentano una Imu positiva (cioè che devono pagare l’imposta) meno del 30 per cento nei primi due decili; questo significa che circa un quarto delle famiglie proprietarie non deve nulla all’erario, o se si preferisce, visto che non tutte le famiglie sono proprietarie, che solo la metà circa di tutte le famiglie italiane deve pagare la nuova Imu.
Non solo, ma come anche si osserva, più della metà del gettito complessivo è pagato dagli ultimi tre decili. La conclusione è che la nuova imposta, pur naturalmente penalizzando chi possiede l’abitazione di residenza rispetto agli altri, è più “progressiva” rispetto all’Ici 2007; si riduce il numero delle famiglie povere che pagano l’imposta e la composizione del gettito si sposta a favore dei primi decili e a sfavore degli ultimi.

LE SECONDE CASE

La situazione cambia per le seconde case. Il sistema attuale prevede l’Ici con un’aliquota media del 6,1 per mille e l’imposizione in sede Irpef delle rendite catastali degli immobili non locati (per quelli locati, il reddito è dato dall’affitto). Il nuovo sistema prevede invece solo l’Imu, alle aliquote e basi imponibili maggiorate ricordate in precedenza. Ne segue che per gli immobili diversi dall’abitazione principale, il carico fiscale dell’Imu è circa il doppio dell’attuale Ici. Tuttavia, se si combina l’aumento dell’Imu con l’esenzione dall’Irpef, è facile mostrare che rispetto alla normativa attuale, dal 2012 l’imposta complessiva aumenta di più per un contribuente con reddito basso e di meno per un contribuente con reddito elevato. Il risultato è dovuto tutto all’impatto della riforma in sede Irpef: le rendite scontano un’aliquota marginale elevata per un contribuente ricco e una più contenuta per un contribuente con reddito basso (si veda la tabella 3).
Dal nostro modello, risulta anche che circa un quarto delle famiglie italiane siano proprietarie di almeno un immobile a uso abitativo diverso dall’abitazione principale. Come ci si può attendere, sono i decili più alti a possedere più seconde case (si veda la tabella 4); circa la metà delle famiglie più ricche sono proprietarie di almeno una seconda casa. Comunque, anche il 16,5 per cento delle famiglie più povere (al decile più basso) possiede una seconda casa, non è chiaro se per qualche ragione storica dovuta a comportamenti passati (per esempio, una famiglia di pensionati con bassi redditi attuali, ma con ampi risparmi passati investiti in immobili) oppure di nuovo per la presenza di sottodichiarazione dei redditi (compresi i redditi in “nero” degli affitti). L’incremento dell’imposizione sulle seconde case non locate dovuta al passaggio da Ici a Imu, circa 2,2 miliardi di euro nelle nostre stime, cade dunque in misura più che proporzionale sui decili di reddito più elevati; gli ultimi due decili pagano infatti quasi metà della variazione di gettito. Tuttavia, questi sono anche i decili per cui lo sconto Irpef è più elevato.

TUTTE LE ABITAZIONI

La tabella 5 riassume gli effetti complessivi della manovra confrontando la distribuzione del gettito tra il sistema 2007 (Ici su prime e seconde case e Irpef sulle rendite degli immobili non locati), il sistema attuale, quello previsto dal decreto (l’Imu) e uno scenario ipotetico nel quale si elimina l’esenzione Irpef per le seconde case. Gli scenari non sono a parità di gettito: il gettito del 2007 è pari a 6,3 miliardi di euro, quello attuale a 3,3, quello futuro a 7,4, quello ipotetico a 8,5. Con l’attuale sistema (Ici solo sulle seconde case e Irpef sulle rendite catastali), il 36 per cento del gettito totale è pagato dall’ultimo decile; con quello previsto dal decreto, (Imu su entrambe le tipologie di abitazioni e esenzione Irpef), le cose peggiorano dal punto di vista distributivo, con l’ultimo decile che si fa carico “solo” del 32 per cento del gettito complessivo. Se infine le rendite catastali sulle seconde case fossero soggette di nuovo a tassazione Irpef, l’effetto distributivo migliorerebbe di nuovo, oltre ad aumentare il gettito.
Riassumendo, mentre l’Imu sull’abitazione di residenza ha effetti distributivi meno negativi rispetto all’Ici 2007, l’introduzione della nuova imposta sulle seconde case ha effetti negativi. Questo tuttavia è interamente dovuto all’eliminazione delle rendite catastali dall’Irpef. Bisognerebbe dunque chiedersi se la scelta del legislatore, dovuta al precedente governo, sia sensata e debba essere mantenuta. Eliminare le rendite catastali dall’Irpef, assieme alla cedolare secca sui canoni di locazione già introdotta, ha infatti l’effetto di erodere ancor di più la base imponibile dell’imposta sul reddito, rendendola sempre più simile a un’imposta sui soli redditi da lavoro e pensioni, un’evoluzione sulla cui desiderabilità, passata l’emergenza, si dovrebbe riflettere seriamente. Infine, la diffusa presenza di evasione rende difficile ogni confronto distributivo; in particolare, è ben possibile che per lo meno per certe tipologie di redditi, i “poveri” siano in realtà gli evasori e dunque che l’effetto perverso segnalato sopra abbia almeno la conseguenza di non far pagare i soliti noti, cioè i possessori di redditi da lavoro dipendente e assimilati.

(1) Il Global Wealth Report del Credit Suisse stima per l’Italia una ricchezza mediana pari nel 2010 a oltre 115mila dollari per adulto, contro i 78mila del Regno Unito e i 66mila della Francia o i 47mila degli Stati Uniti
(2) L’indice di Gini per la distribuzione della ricchezza è 0,61 in Italia, contro 0,66 nel Regno Unito e più di 0,80 in Svezia e negli Stati Uniti. Si veda Sierminska E., A. Brandolini and T. M. Smeeding (2008), “Comparing Wealth Distribution Across Rich Countries: First Results From the Luxembourg Wealth Study”, in Household wealth in Italy, Banca d’Italia.
(3) Si veda Pellegrino S., Piacenza M., Turati G. (2010), “Developing a static microsimulation model for the analysis of housing taxation in Italy”, International Journal of Microsimulation.
(4) I decili suddividono la popolazione in 10 gruppi di uguale numerosità, dopo che i redditi sono stati ordinati in ordine crescente; per individuare i decili si è usato il reddito lordo equivalente. Il reddito lordo è dato dalla somma del reddito complessivo ai fini Irpef, degli assegni familiari, dei redditi esenti, dei redditi soggetti a tassazione separata e i redditi provenienti da attività finanziarie. Il reddito lordo così ottenuto è stato diviso per la scala di equivalenza, al fine di rendere confrontabili famiglie con diversa numerosità e composizione. Considerando i valori monetari, il primo decile contiene le famiglie con reddito lordo minore di circa 12.500 euro, il secondo famiglie con reddito minore di 16.700, il terzo famiglie con reddito minore di 19.500, e così via; l’ultimo decile contiene famiglie con reddito superiore a 62 mila euro.
(5) È opportuno ricordare che il confronto tra i redditi dichiarati al fisco e i dati originali contenuti nell’indagine Banca d’Italia suggerisce che circa la metà dei redditi di professionisti e lavoratori autonomi sfugga al fisco.

per le tabelle clicca qui

www.lavoce.info

32 Commenti

I commenti sono chiusi.