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Centomila a Mosca «Putin, devi andartene», di Roberto Brunelli

Cose mai viste, nell’era di Putin. A Mosca erano almeno centomila (il doppio, secondo gli organizzatori) a gridare slogan contro il premier. Ben oltre ogni aspettativa. «Chiamatela rivoluzione della neve». Una cosa così non l’aveva mai vista nessuno, negli anni di Putin. «L’avresti detto, tu, Nikolaj, l’avresti detto?», gridava una ragazza felice ieri a piazza Balotnaja, a due passi dal Cremlino. Una massa umana abnorme per dire di no a Putin, per ribellarsi all’esito di un voto che un russo su due considera truccate. Sfidando neve e temperature al di sotto dello zero, a decine di migliaia sono scesi per le strade di tutta la Russia per chiedere l’annullamento delle legislative del 4 dicembre e nuove elezioni libere. Dall’estremo porto orientale di Vladivostok all’occidentale Kaliningrad, la Russia sembra essersi svegliati dal lungo torpore putiniano. A Mosca il colpo d’occhio era impressionante: 200 mila persone secondo gli organizzatori, 100 mila per la polizia, con le bandiere arancioni, rosse e blu e i nastri bianchi al polso. Numeri enormi, per una realtà come quella russa, parole fino a poco tempo fa inaudite nel Paese della «democrazia guidata», del consenso plebiscitario. Un solo coro, ieri: «Russia senza Putin! Ladri! Corrotti! Putin vattene a casa!».
Tutti spiazzati, nelle stanze del potere, dalla «rivoluzione bianca» della neve, dei garofani e dei nastri bianchi simbolo del movimento di protesta.
Spiazzate le forze di sicurezza, spiazzato il governo che pur avendo dispiegato un ingente numero di forze di sicurezza, tra esercito e polizia ha scelto di non usare la mano pesante, come invece era successo negli ultimi giorni di proteste. Nessun incidente, nessun arresto, niente. Il potere è rimasto come paralizzato. «L’espressione di questo punto di vista è estremamente importante e sarà ascoltato dai media, dalla società e dallo Stato», è riuscito a balbettare Andrei Isayev, alto funzionario del partito Russia Unita.
Eppure le avevano provate tutte, per scoraggiare le proteste con la paura: a cominciare dai cingolati che giravano da giorni per le strade della capitale, agli elicotteri, dal reggimento delle teste di cuoio cecene, per finire con la contropropaganda di regime. Tra sarcasmo e provocazione, i manifestanti ringraziano la polizia, più abituata ad disperdere raduni e arrestare chi protesta che a sorridere un po’ imbambolati come succede qui. Bravi, vi siete comportati come poliziotti di uno Stato democratico», grida qualcuno. «La polizia è con il popolo», «Urrà alla polizia», «la polizia è con noi»: questi gli slogan. Una ragazza regala dei garofani bianchi ad un agente. Lui rimane di sasso.
Le bandiere ci sono tutte: dal Partito comunista Kprf al movimento Solidarnost’ di Boris Nemtzov. Tra i partecipanti, a sorpresa, anche il movimento Jabloko, e il suo leader Grigory Javlinsky, filo-occidentale ma finora tenutosi lontano dalle proteste. Ma i veri protagonisti sono loro, quelli del cosiddetto «popolo di internet»: soprattutto giovani con nastri e fiori bianchi, diventati il simbolo di una specie di rivoluzione «morbida» che potrebbe anche finire per cambiare il volto del gigante russo. Studenti, ma anche pensionati, ecologisti, persino signore in pelliccia, e pure forse non poi così sorprendentemente alcune star vicine al potere, come la «Paris Hilton russa» Ksenia Sobchak.
COSE MAI VISTE
Ilya Ponomariov, deputato di Russia Giusta ed esponente dell’opposizione, sorride dietro il palco. Mostra anche lei il nastrino bianco ma spiega: «Non paragonatela alla “rivoluzione arancione” dell’Ucraina: noi abbiamo come colore il bianco che unisce tutti i colori, compreso il rosso dei comunisti o il blu che è il colore di Russia Unita, perchè anche loro dovrebbero indignarsi per delle elezioni che devono essere oneste e libere, e invece non lo sono. Chiamatela Rivoluzione della neve».
L’entusiasmo è palpabile. L’opposizione è davvero convinta di riuscire a far annullare il voto di domenica scorsa. Ponomariov & co ripetono che scenderanno nuovamente in piazza il 24 dicembre, se non saranno accolte le richieste avanzate ieri, tra cui l’annullamento delle elezioni legislative, nuove elezioni e la liberazione di tutti i «prigionieri politici».
Un altro miracolo: Russia-24, di proprietà dello Stato, che finora aveva opposto un silenzio tombale alle manifestazioni, ha seguito la manifestazione in diretta. Anche Ntv ha dato notizia dei cortei. Cose mai viste, nel regno di Putin.

L’Unità 11.12.11

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“Russia, esplode la protesta”, di Mark Franchetti

“Putin, restituiscici il voto” Migliaia in piazza a Mosca.Top manager e pensionati insieme nel primo grande corteo contro il leader. Almeno 40 mila manifestanti sono scesi nelle strade di Mosca ieri nella più grande manifestazione di protesta contro il Cremlino tenutasi nella capitale russa negli ultimi due decenni. Il corteo dell’opposizione ha protestato contro i presunti brogli commessi da Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, nel voto di domenica scorsa per la Duma. Scandendo «Russia senza Putin», «Putin ladro» e slogan che chiedevano nuove elezioni, i manifestanti si sono dati appuntamento in una piccola isola vicino al Cremlino, sotto gli occhi di decine di poliziotti anti-sommossa e soldati del ministero dell’Interno. Si è trattato del più massiccio raduno anti-Putin da quando Putin è salito al potere in Russia, dodici anni fa, e ha concluso una settimana di scontri, in cui la polizia con uso della violenza ha arrestato più di mille oppositori spinti in piazza dall’evidenza dei brogli.
L’evento, senza precedenti, si è svolto in un clima da amici. La gente chiedeva la testa del premier, ma indossava anche graziosi nastrini bianchi, il simbolo del movimento di protesta. La folla era un mix sorprendente ed eclettico. Nazionalisti, liberali, comunisti, celebrità, mogli di celebrità, star del cinema, barbuti intellettuali impoveriti stavano accanto a – poche – signore impellicciate con manicure curata. Pensionati che hanno vissuto la maggior parte della loro vita sotto il regime sovietico e studenti nati dopo che l’Urss era già sparita, e che domenica scorsa avevano votato per la prima volta.
Nadia Kolstova, intelligente e ben pagata dirigente di una tv, abita in un appartamento vicino al Cremlino che costa diversi milioni di euro, possiede una casa in campagna in un compound circondato da guardie private e tratta con oligarchi, politici e celebrità. Ma ieri questa 36enne madre di due figli ha rischiato di venire picchiata con i manganelli e catturata dalla polizia pur di scendere in piazza. «È la prima volta che prendo una posizione, ma il Cremlino deve sapere che quando è troppo è troppo», dice. «Sento che è mio dovere far sentire la mia voce. Il Cremlino tratta il suo popolo come una manciata di imbecilli che non contano nulla. La gente al potere non ha pudore. È offensivo. Putin ha bisogno di venire ammonito».
Cappotto marrone lungo e cappellino per proteggersi dalla neve, Egor Kryavitsky ha 75, è un elettricista in pensione. Anche lui era a protestare, anche se non crede che servirà a mandare via Putin: «Non voglio una rivoluzione, voglionuove elezioni». Non lontano, nel mare di gente, qualcuno ha notato perfino Xenia Sobchak, la più famosa bellezza russa, figlia glamour di Anatoly Sobchak, che da sindaco di Pietroburgo negli Anni 90 fu boss e mentore di Putin. Xenia ha posato per riviste maschili e fatto arrabbiare i conservatori russi con un popolare reality show. Ma, segno dei tempi, anche lei è diventata politicamente impegnata e ha preso una posizione civica.
La maggioranza dei manifestanti sono russi del ceto medio, istruiti, liberali e utenti Internet. Come in altri sistemi autoritari che cercano di restare in sella nell’era della rete, i primi segni del dissenso trovano spazio solo grazie ai social network che per ora il Cremlino non ha osato bloccare. La più grande manifestazione dal 1993, quando Boris Eltsin bombardava il Parlamento, è stata organizzata in meno di tre giorni solo grazie a Facebook e al suo omologo russo VKontakte. «Temevo che ci sarebbe stata violenza, dopo aver visto come la polizia era intervenuta contro l’opposizione nei giorni scorsi, ma sono venuto lo stesso perché dobbiamo mostrare al Cremlino che non possono continuare a ignorare l’opinione pubblica», dice Igor Vinner, 24 anni, studente di economia che domenica ha votato per la prima volta. «Non mi aspettavo che le elezioni fossero oneste, ma la spudoratezza con la quale hanno spinto Russia Unita è stata troppo. Se non ci difendiamo penseranno di poter fare qualunque cosa. Non voglio permettere loro di rubare il mio voto», dice Masha Soldatova, 35enne madre di due figli che lavora in un’agenzia pubblicitaria. «Putin deve capire che i tempi sovietici sono finiti. Non possono prenderci per idioti. Stavolta se ne accorgeranno, ci scommetto».
La maggior parte dei manifestanti sono furiosi per le elezioni truccate, ma anche per la corruzione e l’abuso di potere da parte dei funzionari. Con una rara concessione, le autorità venerdì hanno concesso il permesso a manifestare dopo che circa 40 mila persone avevano annunciato la loro presenza in piazza sui social network. La manifestazione è stata organizzata da diversi gruppi d’opposizione, convinti che a Mosca le frodi abbiano aggiunto a Russia Unita il 20% dei voti. Fino a ieri, le manifestazioni dell’opposizione non riuscivano a raccogliere più di poche centinaia di persone. «È venuto il tempo di rompere le catene», ha scritto in un messaggio dalla prigione uno dei leader dell’opposizione, il blogger anticorruzione Alexey Navalny, arrestato durante le proteste di lunedì. L’irriducibile attivista sta scontando 15 giorni diprigione. «Non siamo bestie né schiavi. Abbiamo una voce e la forza di difenderla», ha scritto nel messaggio, letto dal palco.
La manifestazione è stata sorvolata da elicotteri. Nell’ultima settimana la città è stata pattugliata da circa 50 mila poliziotti e 2 mila soldati del ministero dell’Interno. Ma ieri a Mosca non c’è stato nessun fermo, mentre nelle altre città in tutto la protesta ha coinvolto diverse centinaia di persone in almeno 40 luoghi – ci sono stati arresti. Anche se ieri tutti i tre canali tv nazionali hanno per la prima volta mostrato le manifestazioni, presentandole come prima notizia dei tg, per ora non c’è nessun segno che Putin stia pensando di fare una qualunque concessione ai manifestanti, che accusa di essere al soldo dell’Occidente. Parlare di «primavera slava» sembra una fantasia. Putin vincerà senza dubbio le elezioni di marzo e diventerà Presidente. Ma per la prima volta ha perso l’aura di invincibilità. Ancora più importante è il cambiamento dell’umore. Indipendentemente dal fatto che la manifestazione di ieri porti a qualcosa, per la prima volta in tanti anni 40 mila russi hanno lasciato a casa il loro senso di impotenza per portare in strada il loro scontento. «Non è inutile farsi sentire», dice Valery, 30 anni. «Una voce è inutile, ma decine di migliaia si fanno sentire e prima o poi perfino il Cremlino dovrà prestare ascolto».

La Stampa 11.12.11

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“Allarme russo”, di Lucio Caracciolo

I russi non hanno paura dell´influenza. L´appello dell´ispettore medico capo Gennady Grigorievich Onishchenko li invitava a disertare le piazze perché a causa del “tempo gelido” gli assembramenti di “vasti gruppi di persone” avrebbero diffuso il morbo di stagione.
Eppure in decine di migliaia hanno protestato ieri contro le frodi elettorali di Putin. Da Kaliningrad a Vladivostok, passando per San Pietroburgo e soprattutto Mosca, i manifestanti hanno sfidato raccomandazioni mediche e moniti governativi. Le cifre come al solito ballano, ma almeno nella capitale si è trattato della più grande manifestazione dell´ultimo ventennio.
Non è ancora “primavera russa”. Ma la legittimità del sistema putiniano è per la prima volta apertamente contestata da una quota influente del pubblico. Soprattutto nelle componenti giovani e urbane, decisive nei grandi momenti della storia russa. Comunisti, nazionalisti e finora sparuti liberali mettono nel mirino Russia Unita, il partito di Putin e Medvedev. Pretendono nuove elezioni, stavolta vere.
Alcuni esperti calcolano che la manipolazione abbia regalato ai putiniani il 15-20% in più dei voti, altri si fermano a un più realistico 10%. Rispetto al 49,3% ufficiale, Russia Unita avrebbe quindi in realtà mantenuto il rango di primo partito, ma non disporrebbe più della maggioranza alla Duma. Una truffa troppo smaccata anche per gli standard russi. Almeno di questi tempi, quando la crisi economica mondiale è assurta a crisi globale di credibilità della politica. A partire dai governi e dai partiti che li sostengono.
A tre mesi dalle elezioni presidenziali che nelle previsioni generali riporteranno Putin al Cremlino – e forse Medvedev a vita privata – l´allarme è scattato nei palazzi del potere russo. Lo stesso premier aveva personalmente accusato il segretario di Stato Usa Hillary Clinton di eccitare le proteste e di supportare gruppi di opposizione: «Non vogliamo che la situazione in Russia si sviluppi come a suo tempo in Kirghizistan o in Ucraina». Tradotto: «Cari americani, fatevi gli affari vostri. In ogni caso, stroncheremo sul nascere qualsiasi ‘rivoluzione colorata’».
In attesa della prossima ondata di protesta, in calendario per il 24 dicembre, azzardiamo due provvisorie deduzioni. La prima riguarda la stabilità del sistema politico russo, la seconda le conseguenze geopolitiche della contestazione.
Quanto alla prima: Putin resta certo il leader più amato dal suo popolo. Anche perché gli aspiranti alla successione sono impresentabili o appaiono finora di taglia troppo ridotta. Ma il carisma dello zar si sta logorando. La decisione di ricandidarsi alla presidenza ha turbato non solo i pochi liberali russi, ma una fetta di opinione pubblica moderata, governativa per istinto e vocazione. Il pesante “ritocco” dei risultati elettorali, in omaggio al principio per cui importante non è come si vota, ma come si contano i voti, ha fatto scattare la scintilla. Evidentemente Putin aveva sottovalutato la sensibilità di molti suoi concittadini. Compresi alcuni di coloro che lo rivoteranno presidente, in assenza di alternative credibili.
Finora il sistema partitico russo era modellato sulle “democrazie popolari” dell´Est ai tempi della guerra fredda. Un partito centrale – non più i comunisti, ma Russia Unita – e vari partiti satelliti, deputati a fingersi di opposizione. A cominciare dai veterocomunisti di Zyuganov e dai nazionalisti di Zhirinovsky. Ai margini, a recitare più o meno gratuitamente il ruolo degli irriducibili, sparuti oppositori filo-occidentali. I quali erano ieri in piazza con comunisti e nazionalisti. Insieme a loro, molti giovani finora estranei all´impegno politico. Tutti a inveire contro Russia Unita, “partito di ladri e imbroglioni”. Se e quando tornerà al Cremlino, Putin dovrà dunque affrontare la crisi della costellazione partitica finora vigente. Al caso, con metodi spicci.
Quanto ai riflessi geopolitici, conviene misurarli nel triangolo Washington-Pechino-Mosca. Le tre principali potenze mondiali si studiano in cagnesco. Gli americani, inclini a vedere nella Cina un pericoloso competitore se non un nemico da battere come a suo tempo l´Urss, farebbero volentieri a meno di doversi confrontare anche con Putin tornato al Cremlino, di sicuro non un amico degli Usa. Altro che “reset”. Di qui il sostegno non solo retorico agli oppositori di uno zar che ha già dato filo da torcere agli occidentali. E di qui anche l´esplicito sostegno del regime di Hu Jintao a Putin. Fra cinesi e russi le relazioni restano tiepide. Su un punto di fondo Mosca e Pechino restano però sorelle: l´orrore per il “caos”, per le “rivoluzioni colorate”, intese come interferenze americane nei loro affari domestici, mascherate da sostegno a movimenti presuntamente democratici. I precedenti “colorati” nell´ex Unione Sovietica – Ucraina in testa – non sono comunque incoraggianti né dal punto di vista degli interessi geopolitici americani né quanto a progressi verso gli standard occidentali.
Eppure Putin appare nervoso. Le proteste l´hanno sorpreso. Certo il capo non si tirerà indietro. Ma quella che fino a ieri sembrava un´autostrada destinata a riportarlo al Cremlino fino al 2024, oggi si rivela un percorso tortuoso, pieno di trappole.
Putin passerà alla storia come lo zar che nei suoi primi otto anni da presidente ha salvato la Russia dalla disintegrazione totale. Ma saprà inventarsi un ruolo per il terzo mandato? Vedremo se il Putin 3.0 sarà quello della modernizzazione economica e di qualche prudente riforma di segno liberale, oppure se inaugurerà una nuova età dei torbidi.

La Repubblica 11.12.11