Cara ministro Fornero, nel corso della Sua prima audizione in commissione lavoro al senato si è parlato naturalmente di previdenza: tantissimi interventi, poco tempo e non sono riuscita ad intervenire. La commissione si aggiorna a martedì prossimo.
Ma martedì prossimo è molto lontano. Martedì prossimo la manovra salva-Italia andrà in aula alla camera e spero che per allora si sia mantenuta tutta la sua forza, ma siano cambiate le cose che la rendono iniqua e perciò incomprensibile ai cittadini italiani che pure sono pienamente consapevoli del rischio che corriamo.
Per questo, Signora Ministro, le chiedo di riflettere su alcune cose. Ci ha detto che la riforma delle pensioni da lei proposta si ispira ai principi di equità fra le generazioni, equità all’interno delle generazioni, sostenibilità e razionalizzazione del sistema, eliminazione dei privilegi.
Bene, siamo d’accordo. Ma mi preoccupa che nel declinare il tema dell’equità Lei non abbia declinato quella fra i generi. Conosciamo la sua attenzione e la sua competenza sul tema e, certamente, orientare le primissime misure in favore dell’occupazione alle donne e ai giovani segna le premesse di un modello, in cui le pari opportunità si declinano attraverso la partecipazione al lavoro, al reddito, alle carriere, che ci convince.
Se più donne devono lavorare, come è giusto che sia per lo sviluppo dell’Italia oltre che per l’affermazione piena del loro diritto di cittadinanza, occorre che siano messe in condizioni di farlo. Occorre destinare risorse alla realizzazione della rete degli interventi e dei servizi a supporto della condivisione del lavoro di cura e della conciliazione tra vita e lavoro di cui ci sono segni di adeguatezza solo in brandelli d’Italia, minacciati ora più che mai dai tagli operati negli ultimi tre anni.
La promessa di destinare le risorse rinvenienti dalla revisione dell’Isee e dei bonus fiscali o dall’incremento dell’Iva accende la speranza di riscuotere finalmente un credito che le italiane hanno da tempo con lo stato e con l’altro genere. Oggi le italiane annotano quel credito anche nei Suoi confronti: non ho dubbi che si adopererà per onorarlo a breve.
Le promesse sono per il futuro, ma parlando di pensioni non si può omettere di considerare il passato ed il presente. Ed alle spalle del presente delle donne che oggi sono chiamate a lavorare 5 o 6 anni in più, c’è un passato di fatica, di salti mortali per tenere insieme lavoro e famiglia, di lotte per conservarlo il lavoro o per ritrovarlo se lo si è dovuto lasciare per occuparsi, appunto, di una famiglia in cui la possibilità di mantenere una condizione di benessere economico, di salute, di equilibrio, anche affettivo, tra le generazioni è spesso tutta sulla loro spalle.
Un carico che le sfianca, fisicamente e psicologicamente. Non si può non tenerne conto. E allora, parlare di “penalizzazioni per l’uscita precoce” può risultare incomprensibile, addirittura offensivo per chi si è destreggiata per 40 anni tra il banco di una fabbrica, i pannolini e i compiti dei figli, il “mocio” per i pavimenti e le cure alla propria madre inferma. Qui c’è un punto rispetto al quale la ricerca di equità non può essere rinviata al futuro: si pone ora ed ora occorre trovare una soluzione rispettosa della troppa fatica di tante.
da Europa Quotidiano 09.12.11