Perché «Se non ora quando?» ha indetto una manifestazione l’11 dicembre? Proprio ora che il governo Berlusconi è stato sostituito da un altro governo? Cioè da un governo di tecnici che sta lavorando per salvare l’Italia dalla catastrofe di una insolvenza? Per dire che il movimento delle donne non smobilita, non ha ottenuto lo scopo, vuole uscire da questa crisi politica ed economica costruendo un Paese in cui le donne possano entrare alla pari nella società e portarvi il segno della loro differenza. Lo dicevamo già il 13 febbraio, la dignità calpestata dalla cronaca politica, dalle immagini delle donne nei media era il segno di un paese arcaico, di una condizione reale terribile della vita delle donne italiane. Ognuna di noi lo sapeva già dalla propria esistenza. Saltando come funambole dai figli al lavoro precario e poi dai genitori sempre più anziani, rinunciando molto spesso a lavorare o a fare bambini, non avendo il tempo per noi mai. La fotografia delle donne italiane disegnata dalle statistiche era chiara nella nostra mente, nei nostri sentimenti e nei nostri corpi stanchi. Il 13 febbraio abbiamo avuto la forza e il coraggio di dirlo a tutti, di trasformare una iniziativa per i nostri diritti in una grande azione politica per fare dell’Italia un Paese moderno. E dunque questo è proprio il nostro momento. Le donne hanno sostenuto un Paese senza avere nulla in cambio. E anche questo governo, arrivato tardi dopo lo sperpero umano e economico di quello precedente, propone alle donne anni di lavoro in più e maggiori contributi necessari per uscire dalla propria occupazione ma non dà nulla in cambio, se non la promessa di un utilizzo dell’aumento dell’Iva per benefici non nominati o l’abbassamento dell’Irap per chi assume donne e giovani. Non basta. Le donne hanno studiato, lavorato, procreato, curato, allevato, si sono caricate sulle loro spalle giovani e anziane le vite di tutti. Tutta l’Italia deve alle donne di non essere caduta
in pezzi, di avere a lungo mascherato la mancanza di servizi per le persone e per la famiglia, ma ora questo sistema antico e ingiusto non basta più. Se si chiede alle donne di lavorare più anni, si deve dare loro la possibilità di farlo, la
possibilità di conciliazione tra vita privata e lavoro che in questi anni è stata scaricata interamente su di loro. La sfida di questi giorni duri è questa: fare dell’accesso paritario delle donne nella società il grande motore di sviluppo dell’Italia. Uno sviluppo economico, perché l’aumento del tasso di occupazione delle donne, tra i più bassi di Europa, farebbe crescere la ricchezza di tutti. Uno sviluppo umano e civile perché metterebbe i talenti delle donne, il loro modo di trovare soluzioni, di decidere e dirigere a disposizione di tutti. Nessun governo italiano si è mai posto come obbiettivo di fare dell’Italia un Paese per donne. E le ragioni ci sono chiare, l’Italia non è mai stata governata in modo paritario dalle donne. Mentre noi sostenevamo le fondamenta della casa, ai piani alti altri decidevano per noi. Non c’è bisogno di controllare le statistiche, basta guardare il tavolo e la platea di un incontro istituzionale o professionale, gli organi dirigenti di enti pubblici, le direzioni dei giornali, delle tv, i consigli di amministrazione delle aziende, delle banche, degli ospedali, i direttivi dei partiti, l’aula del Parlamento: una moltitudine di uomini e poche donne, le vincitrici della corsa a ostacoli. Anche tra i giovani c’è molto da cambiare, come ha rilevato indignandosi la ministra Fornero, davanti a una delegazione di soli ragazzi. Ma nessuna donna può farcela da sola, anche se molte lo hanno pensato. Ogni cambiamento positivo, come le tre ministre tecniche di questo governo per esempio, viene immediatamente cancellato, senza la forza in campo delle donne: tra 25 sottosegretari e 3 viceministri, una sola donna.
Non possiamo distrarci. La sfida di questi giorni di crisi è anche questa: rinnovare la politica, avvicinarla ai bisogni delle persone, svuotarla di retorica, di frasi fatte, cercare una trasparenza per discutere, accordarsi o fronteggiarsi. Le
donne possono farlo. Il 13 febbraio si sono alleate tra loro, hanno sancito che si può e si deve discutere con chi non la pensa come te per un bene comune, per l’idea di un Paese migliore per tutti. L’ingresso a pieno titolo delle donne nelle istituzioni e nei partiti può essere il motore di un cambiamento radicale nella politica. Anche per questo scendiamo in piazza l’11 dicembre, per dire mai più contro le donne ma anche mai più senza di loro. E chiediamo agli uomini, anche questa volta, di essere con noi.
L’Unità 06.12.11