Dopo le prime tre settimane è venuto il momento di tirare i primi (provvisori) bilanci sul Governo Monti. Nei rapporti con i nostri partner europei, Monti ha conseguito un istantaneo successo. La sua esperienza e competenza lo collocano una spanna sopra Sarkozy e la Merkel. Il suo programma di austerità, pur con luci ed ombre, è coraggioso. Rappresenta il massimo di rigore fiscale che il nostro Paese può sostenere (e forse anche di più).
Il vero tallone d’Achille riguarda quello che io considero l’obiettivo principale: una riforma culturale. Può sembrare strano che un economista anteponga la riforma culturale a quella fiscale. Ma proprio perché economista mi rendo conto che il rigore fiscale è condizione necessaria ma non sufficiente per salvare l’Italia.
Il vero problema dell’Italia è la mancanza di crescita e alla base di questa mancata crescita ci sono due cause: la peggiocrazia e la conseguente mancanza di fiducia che questa genera. La peggiocrazia non è solo mancanza di merito nelle nomine, ma anche mancanza di rigore logico e morale nelle scelte. I balzelli casuali (vedi tassa sui depositi del Governo Amato) o i condoni periodici alla Tremonti distruggono il rapporto fiduciario tra Governo e cittadini. La sola parvenza del conflitto di interessi mette in dubbio la legittimità delle scelte. Affinché noi italiani cominciamo a sentirci cittadini e non sudditi, le scelte del Governo devono essere giustificate, devono seguire un rigore logico e morale. Il seguirlo crea fiducia, aumenta il consenso, riduce l’incertezza, e aumenta il desiderio di investire in questo Paese.
Nel nominare Monti il presidente della Repubblica Napolitano ha dato inizio a questo processo di riforma culturale. Monti non è stato scelto per logiche politiche ma per competenza: non solo la sua conoscenza tecnica, ma il buon lavoro svolto da commissario europeo.
Inizialmente, Monti aveva proseguito su questa strada. Nel suo complesso la scelta dei ministri è stata basata sui principi di competenza e integrità. Il migliore esempio sono le donne ministro. Non nominate per soddisfare una quota rosa o per retribuire ex amanti, ma perché rappresentano il meglio che il Paese può offrire nei rispettivi campi. Vorrei che le imprese seguissero quest’esempio.
La riforma delle pensioni proposta dal ministro Fornero, un’autorità in materia e di gran lunga il miglior ministro, va nella stessa direzione. Al sistema retributivo, che premia le categorie più influenti politicamente, si sostituisce il principio contributivo, che eroga pensioni in proporzioni ai contributi versati. Non è solo una buona regola di finanza pubblica, è anche un buon principio morale.
Purtroppo dopo questo inizio promettente, il Governo Monti ha fatto alcuni passi falsi. Il primo è stata Finmeccanica. È vero, Guarguaglini si è dimesso. Ma ad essere revocato doveva essere l’intero consiglio che aveva rinominato Guarguaglini quando le notizie degli scandali già circolavano e che gli aveva offerto un paracadute milionario. Un nuovo consiglio avrebbe potuto impugnare senza timori il paracadute e far luce su tutte le dubbie vicende che circondano la società. Per cambiare la cultura di questo Paese è necessario estirpare il sottobosco politico. La crisi al vertice di Finmeccanica rappresentava un’opportunità per farlo, dato che il Governo controlla Finmeccanica. Monti ha sprecato questa opportunità.
Il secondo passo falso è stato il blocco dell’indicizzazione delle pensioni. Non bisogna essere Freud per capire che il pianto del ministro Fornero rifletteva il dolore per aver dovuto accettare una decisione ingiusta, contraria ai suoi principi. Si tratta della più iniqua delle imposte, che lascerà un segno nella mancanza di fiducia della gente.
Il terzo passo falso riguarda la partecipazione a un programma televisivo per presentare le sue riforme. È apprezzabile il desiderio di Monti di spiegare le sue proposte alla gente. Se ha bisogno di prime time, faccia – come tutti i presidenti del mondo – una conferenza stampa in diretta all’ora giusta. Presidente, sappia che è un errore andare da Vespa, non importa se prima o dopo essere andato in Parlamento.
Ma il più grosso passo falso è l’autorità che il decreto concede al Governo di garantire le emissioni obbligazionarie delle banche. È un potere enorme di cui si può facilmente abusare e che rischia di accollare sul contribuente italiano gli errori delle banche.
A questo punto il Governo Monti si trova a un bivio. Deve scegliere se essere il commissario dell Fondo monetario in Italia, che aggiusta solo i conti, o il salvatore della patria che riforma il Paese. Dopo i passi falsi, Monti ha tre opportunità per dimostrare le sue intenzioni.
La prima riguarda l’introduzione dell’Ici, che deve essere estesa anche agli immobili non di culto della Chiesa. Non si possono chiedere sacrifici agli italiani se non si trattano tutti nello stesso modo. Non farlo minerebbe l’autorità morale del Governo e del suo presidente.
La seconda riguarda la parte del decreto salva banche. Monti deve urgentemente emettere un regolamento in cui spiega come e a che condizioni queste garanzie saranno emesse.
Infine Monti deve essere più rigoroso sugli investimenti personali dei suoi ministri. Non dubito che tutti i ministri abbiano a cuore solo l’interesse del Paese. Ma negli Stati Uniti i ministri alla nomina devono vendere le azioni possedute e investire il ricavato in titoli di Stato, per evitare che le loro decisioni possano essere contaminate dal sospetto di voler beneficiare il loro portafoglio. Data la vocazione di Intesa Sanpaolo a banca di sistema, fino a che il ministro Passera non vende le azioni che detiene nella banca ci sarebbe sempre il sospetto che agisca per interesse personale. Per questo, Monti e i suoi ministri dovrebbero fare come quelli americani. Questo darebbe fiducia al mercato dei nostri titoli sovrani, ma ancor di più rimuoverebbe l’ombra del sospetto dall’azione del Governo.
In politica non bisogna solo essere onesti, occorre anche apparire tali. Le vere riforme culturali cominciano anche dai piccoli gesti.
Il Sole 24 Ore 07.12.11