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"Misure da cambiare. Non possiamo tacere", di Cesare Damiano

All’atto del suo insediamento il Presidente del Consiglio aveva promesso rigore, sviluppo ed equità. Adesso che la manovra è stata presentata, possiamo constatare che i temi dell’equità e dello sviluppo sono rimasti in ombra.
Abbiamo apprezzato le modifiche dell’ultima ora che sono state
prodotte dal Consiglio dei Ministri di domenica scorsa e che hanno introdotto una tassazione dell’1,5% sui capitali scudati e rientrati dall’estero. Tassazione che ha consentito di cancellare il blocco delle indicizzazione delle pensioni fino a quelle di importo pari a 960 euro lordi mensili, cioè due volte il minimo. Però tutto questo non è sufficiente. Rintracciamo nella manovra un intervento eccessivo a scapito dei soliti noti, soprattutto dei pensionati e di coloro che sono in procinto di diventarlo. Questo intervento così sbilanciato si basa su una affermazione infondata: che il sistema pensionistico del nostro Paese sia statico,non sufficientemente riformato nel corso di questi anni e che per questo non abbia consentito di far risparmiare sufficiente risorse. Non condividiamo questa affermazione anche perché nella Nota di aggiornamento al Def approvata nel settembre scorso dal Consiglio dei Ministri, che porta la firma d Berlusconi e Tremonti, si affermava che le modifiche al sistema pensionistico degli ultimi anni, ben 4 dal 2004 al 2011, hanno comportato una significativa riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica in rapporto al Pil. Tremonti, e immagino la Ragioneria dello Stato, hanno certificato in quel documento un risparmio medio di 1,4 punti percentuali annui nell’intero periodo 2015/2040. In termini cumulati al 2050 l’insieme degli interventi darà luogo, secondo l’ex Ministro dell’Economia, ad una riduzione di circa 39 punti percentuali di ncidenza della spesa previdenziale sul Pil. Propaganda del vecchio governo Berlusconi? Verità contabile della Ragioneria dello Stato, sempre molto attenta ai conti?
Questa domandal’abbiamo rivolta inutilmente, da parecchio tempo a questa parte, agli esponenti del vecchio governo e all’Inps, ma sin qui non abbiamo ricevuto nessuna risposta concreta. La rivolgiamo adesso al nuovo governo, non tanto perché vogliamo escludere interventi sulle pensioni, sulla base della parola d’ordine «abbiamo già dato», ma perché vorremmo
suggerire a Monti di ricavare analoghi risparmi da patrimoni, capitali scudati, transazioni finanziarie e rendite per pareggiare i conti e mantenere, di conseguenza, la mano leggera sul welfare.
Abbiamo già avuto modo di dire che non c’è da parte nostra una pregiudiziale opposizione all’adozione del sistema contributivo pro rata a partire dal 1 gennaio 2012. Vorremmo però sollevare alcuni problemi di equità sociale indifferibili che richiedono degli aggiustamenti alla manovra, anche attraverso pochi e selezionati interventi. In primo luogo va chiarito che chi andrà in pensione di anzianità dopo 41-42 anni di contributi
non può subire penalizzazioni anche se ha meno di 63 anni. Anzi, l’intero periodo dovrebbe valere per il calcolo della pensione. In secondo luogo non è sufficiente l’indicizzazione delle pensioni al 100% solo per gli importi fino a 960 euro lordi mensili (circa 700 netti). In questo modo si escludono le pensioni medio basse di operai e impiegati. Va chiarito che tutti i lavoratori posti in mobilità potranno andare in pensione e che coloro che avrebbero potuto andare in pensione con le quote 96 e 97 del 2012 e del 2013, non possono correre il rischio di aspettare il momento della pensione fino a un massimo di altri 6 anni. Sarebbe un’ingiustizia troppo forte. Va trovato un diverso equilibrio nella manovra e va fatto un ulteriore passo avanti: la tassazione dell’1,5% dei capitali scudati può essere ulteriormente innalzata. Il Paese ha bisogno di un segnale di equità incontrovertibile.

L’Unità 06.12.11

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«Non c’è equità Sulle pensioni intervento brutale», di Maria Teresa Meli

Fassina, che cosa pensa di questa manovra?
«Ritengo che sia necessaria sul piano politico. Serve al nostro governo e quindi all’Italia per andare a Bruxelles e cambiare una linea economica sbagliata, che rischia di mandare a picco il nostro Paese e l’Europa. È la linea portata avanti dai governi conservatori tedesco e francese, impostata sull’ossessione dell’austerità, senza nessuna strategia per la crescita».
E nel merito, qual è il suo giudizio?
«Cominciamo dagli aspetti che mi convincono. Certamente è positivo che si torni a essere attenti all’economia reale. Nella manovra sono contenute misure di politica industriale che noi abbiamo sempre sostenuto. Ma ci sono altri punti che non vanno bene. Il primo è l’intervento brutale sul pensionamento di anzianità, che non distingue tra lavoratori che si trovano in condizioni molto diverse. Comporterà degli effetti pesantissimi sulla vita delle persone. C’è poi il blocco dell’indicizzazione sopra i 960 euro lordi. È un punto che per noi va rivisto. Non si può non tener conto che in questo modo ci sarà gente che non arriverà alla quarta settimana. E questo non va bene: non è coerente con il principio di equità».
Si dice equità per non cambiare niente?
«Non è così. Non dimentichiamoci che la stagione del governo Berlusconi, a livello di equità, non è finita pari, ma è finita quattro a zero. I lavoratori hanno già pagato prezzi pesanti prima, non si può non tenerne conto».
Il governo ha deciso di tassare i capitali scudati.
«È un fatto sicuramente positivo, ma è un intervento timido. Chi ha evaso e poi regolarizzato un milione di euro ne pagherà quindicimila, la stessa cifra che perde annualmente un operaio che ha lavorato duramente per quarant’anni e che viene bloccato per cinque, sei anni nel suo progetto di vita».
Che cosa manca nella manovra?
«È debole il capitolo della lotta all’evasione. Il limite di mille euro per la tracciabilità è il doppio di quanto hanno proposto le rappresentanze delle imprese a settembre. E soprattutto non c’è nulla per il welfare dei giovani e delle donne».
Il Pd ha paura delle reazioni dei suoi elettori?
«È diverso: noi ci facciamo carico delle domande di milioni di lavoratrici e lavoratori, di giovani e meno giovani, che non riconoscono l’equità necessaria in questo pacchetto di misure economiche. Da questo punto di vista guardiamo con preoccupazione allo scavalcamento da parte del governo delle parti sociali, che hanno sempre dimostrato di farsi carico del problemi del Paese. Questo cortocircuito democratico non aiuta il Paese. Perciò mi auguro che il governo incontri le parti sociali durante il passaggio della manovra in Parlamento».
Passaggio fulmineo: pare che Monti chieda la fiducia.
«Spero che non sia un passaggio parlamentare di maniera e mi auguro che il governo ascolti le proposte del Parlamento. Sull’interlocuzione con le forze sociali e sul rapporto con il Parlamento si gioca la credibilità del governo Monti».
Comunque voi voterete questa manovra.
«Noi ci assumeremo le nostre responsabilità. Pdl e Lega hanno portato l’Italia a un centimetro dal baratro. Ora, è fondamentale che questa manovra consenta a Monti di spostare la signora Merkel su una politica economica diversa. Già, la manovra è necessaria, ma non sufficiente, perché se la linea continua a essere quella del governo tedesco le misure contenute nel decreto non rimetteranno in pista né l’euro, né l’Italia. La Merkel sta portando l’Europa a sbattere».

Il Corriere della Sera 06.12.11