C´è un clima nuovo, diverso, tra avversari che lo sono ancora e lo saranno alle prossime elezioni. Il Parlamento può cambiare le regole del gioco. Ci vuole una Camera non elettiva, il Senato delle regioni. Avremo così un´automatica riduzione del numero dei parlamentari. Sono tutti d´accordo. Dario Franceschini propone un patto alle forze politiche che sostengono il governo Monti. «Possiamo fare in 18 mesi quello che non siamo riusciti a fare in 20 anni». Non solo con la cura da cavallo sui conti pubblici. Ma una riforma delle regole fondamentali dello Stato. Questa è la proposta del capogruppo democratico alla Camera.
Prima di tutto: c´è ancora spazio per modificare la manovra in Parlamento secondo le vostre indicazioni?
«L´esecutivo, muovendosi tra vincoli europei e opinioni lontane, ha dovuto costruire una sintesi. Non è espressione del centrosinistra come non lo è del centrodestra. Ma senza snaturare la manovra si può arrivare ad altre correzioni».
Questo è quello che chiede il suo partito a Monti. Cosa si chiede invece ai partiti mentre il governo salva l´Italia?
«C´è un clima diverso. Ci siamo arrivati in una situazione difficile, tra avversari che lo sono ancora e lo saranno alle prossime elezioni. Stiamo insieme solo per affrontare l´emergenza. Ma il lavoro da fare è duplice. Al governo tocca il risanamento, l´economia, la crescita. Il Parlamento invece può utilizzare quest´anno e mezzo per cambiare finalmente le regole istituzionali. Sono due facce della stessa medaglia».
Siamo sicuri che questa seconda faccia non danneggi la prima? È già successo in passato: il dibattito sulle riforme ha messo in difficoltà l´esecutivo.
«È vero, i precedenti sono negativi. Ma il quadro era di durissime contrapposizioni. Oggi sosteniamo lo stesso governo».
Vuole cambiare la seconda parte della Costituzione?
«Per arrivare al risultato dobbiamo darci un obiettivo meno ambizioso. Penso a tre modifiche strutturali fondamentali, niente di più ma niente di meno. Un sistema istituzionale lento, distante dai tempi reali della società è il costo della politica più alto pagato dai cittadini. Dobbiamo mettere lo Stato e le istituzioni in grado di funzionare. In modo che chi vince la prossima volta sia poi in grado di governare e di decidere».
Da dove si comincia?
«Dalla modifica radicale dei regolamenti parlamentari che regolano oggi il rapporto tra governo, maggioranza e opposizione secondo uno schema antiquato».
Tutto qua?
«Il secondo punto è la fine del bicameralismo, una materia su cui tutti i partiti hanno un loro progetto di legge. Ci vuole una Camera non elettiva, il Senato delle regioni. Avremo così un´automatica riduzione del numero dei parlamentari. Con i difetti dell´attuale bicameralismo un taglio ai membri delle Camere non servirebbe a molto. Una sola Camera elettiva che dà la fiducia al governo, risolve il problema in sé».
Terza proposta.
«Una nuova legge elettorale. Comunque. Sia che il referendum venga dichiarato ammissibile dalla Consulta sia che venga respinto. Nel primo caso dovremo andare di corsa, nel secondo abbiamo un anno di tempo».
Quale legge elettorale?
«Deve avere due punti fermi. Restituire ai cittadini il diritto di scegliersi gli eletti. Consentire un bipolarismo per scelta e non per costrizione».
Con il maggioritario o con il proporzionale?
«Il bipolarismo si può difendere anche con una legge proporzionale».
Che fa adesso? Presenta la proposta alle commissioni parlamentari?
«Non faccio l´ipocrita. È difficile pensare che un´operazione così ambiziosa si realizzi attraverso il semplice iter nelle commissioni Affari costituzionali. In maniera trasparente, alla luce del sole, occorre un accordo tra i partiti che sanno di essere avversari ma vogliono cogliere l´opportunità».
A quale strumento pensa? Una Bicamerale?
«No. A me interessa registrare se esiste la volontà di tutti i partiti per cambiare le regole. Lo strumento si trova. Una sessione parlamentare ad hoc, un altro appuntamento in aula: vedremo. Non dev´essere una mega riforma, ma un aggiustamento fondamentale dello scheletro istituzionale. Su questo piano dobbiamo dialogare anche con la Lega».
E il governo che fa, sta a guardare?
«Come noi avevamo suggerito, nella squadra di Monti non esiste il ministro delle Riforme. È una scelta che abbiamo apprezzato. Un governo tutto tecnico sa di avere una vocazione precisa. Ma il cambiamento delle regole è affidato al Parlamento».
La Repubblica 06.12.11