Stiamo vivendo giorni stranissimi, improvvisamente un senso di gravità ha contagiato il Paese. Era ora che accadesse, da mesi avevamo perso credibilità e vivevamo sull’orlo del baratro, ma né la classe politica né i cittadini sembravano davvero rendersene conto ipnotizzati da scontri e divisioni.
Ieri Monti ha parlato alla Camera nel silenzio e anche nel gelo: niente ovazioni e nemmeno grida e fischi. Non eravamo più abituati. Nella manovra presentata e nei discorsi che l’hanno accompagnata non c’è quella ricerca del consenso che da anni la politica rincorre a ogni latitudine, anche se da noi in modo più smaccato e plateale. Sembra esserci solo l’urgenza di fermare il crollo della diga, un crollo che avrebbe non solo distrutto la nostra economia ma anche la moneta.
«Un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni», sosteneva De Gasperi, e mai come oggi abbiamo bisogno di recuperare uno sguardo lungo e un’idea di futuro. Anche nel Paese, tra i cittadini, c’è malumore per il peso dei sacrifici decisi dal governo. Eppure in gioco c’è il nostro presente e il futuro nostro e dei nostri figli. Non lo facciamo per l’Europa, ha fatto bene Monti a sottolinearlo, ma per noi, perché il debito è nostro e così la responsabilità di fare ordine in casa.
Ieri la differenza tra i tassi di interesse italiani e quelli tedeschi, l’ormai famoso spread, è scesa a una velocità mai vista (di oltre cento punti rispetto a giovedì scorso) e i mercati hanno festeggiato. Ma anche i cittadini dovrebbero tirare un sospiro di sollievo: il calo del costo del denaro significa meno debito pubblico e meno sacrifici futuri.
È stato fatto un primo passo, ma deve essere però evidente che questo è solo il primo tempo, che dovrà essere seguito al più presto da misure decisive per il lavoro e la crescita.
Nella manovra molti non hanno trovato quell’equità che speravano (nel sondaggio sul nostro sito i lettori si sono divisi a metà tra chi la giudica iniqua e chi invece pensa che pur avendo difetti fosse inevitabile), eppure ci sono misure che sembravano impensabili. Chi chiedeva a gran voce che pagassero di più i ricchi non può non vedere che la tassazione del patrimonio immobiliare cresce proprio al crescere dei metri quadrati e del numero degli appartamenti posseduti e questo è equo. Per non parlare delle tasse su barche, auto di grossa cilindrata e aerei.
C’è poi la decisione, che verrà di certo contestata e impugnata, di recuperare un altro miliardo e mezzo di euro da chi aveva fatto rientrare dall’estero i capitali con lo scudo fiscale. Si era detto per mesi che non si poteva fare eppure è accaduto.
E così lo svuotamento delle Province, il taglio dei membri delle Autorità e il passaggio al sistema pensionistico contributivo per tutti (è già successo per i parlamentari e ora lo si aspetta anche per magistrati e militari). Inutile dire che tutti attendono decisioni più incisive per quanto riguarda i costi della politica, anche se non sfugge come sia arduo farle approvare da questo Parlamento.
Restano in sospeso altre tre questioni capitali: la lotta all’evasione fiscale (Monti sostiene che è una sua priorità ma non è ancora chiaro quali saranno le mosse decisive), la disoccupazione giovanile e la precarietà e i servizi per le famiglie (tra l’altro si dovrà supplire al fatto che le donne andranno in pensione più tardi e che ci saranno meno nonne a casa con i nipotini).
Una cosa però è certa, non potevamo pensare di salvarci chiudendoci in difesa, provando a vivere in una trincea sempre più stretta. Ora abbiamo dato un segnale al mondo di serietà, di capacità di reagire e anche di orgoglio. Da qui dobbiamo ripartire per costruire un Paese diverso, con meno privilegi, più meritocrazia, capace ancora di inventare e di crescere, in cui la formazione e la cultura tornino a essere considerate opportunità e non costi da tagliare. Ma non può essere una missione per tecnici, Mario Monti si è caricato il peso dell’impopolarità, adesso la politica e la società civile devono avere il coraggio di fare la loro parte, fuori dalle ideologie e dai vecchi schemi.
Questa manovra dolorosa e pesante può essere il primo passo verso l’uscita dal buio o soltanto una delle tante pezze che l’Italia mette ai suoi guai. La differenza la farà ognuno di noi.
La Stampa 06.12.11