«Una manovra molto dura, che non risponde del tutto ai nostri criteri di equità»: così il segretario Pd commenta le misure presentate da Monti. Ma aggiunge: «Lavoreremo per migliorarla». Deluso? «In parte». Deluso? «Anch’io ho la mia parte di delusione». Risponde così Pier Luigi Bersani, ospite di Fabio Fazio a «Che Tempo che fa», proprio mentre il presidente del consiglio insieme ai suoi ministri presenta in conferenza stampa la manovra economica di 23 miliardi di euro. Una «manovra molto dura che non risponde del tutto ai nostri criteri di equità», ma che ha colto alcuni «suggerimenti» avanzati dal Pd, a partire dalla tassazione dell’1,5% dei capitali scudati che «insieme al fatto che per la prima volta si dice chiaramente che non ci saranno condoni è un segnale importante». Però, aggiunge il segretario, visto che «si è infranto un tabù, forse allargando un po’ quell’1,5% potremmo risolvere qualche altro problema».
I MIGLIORAMENTI DA FARE
Apprezzamento anche per l’innalzamento del tetto per il blocco delle indicizzazioni delle pensioni dai 440 euro al doppio del minimo, «ma con un sforzo ulteriore si potrebbe arrivare anche a quelle appena sopra i mille euro». Alla fine anche sul sistema previdenziale, «l’impianto della riforma è sostanzialmente quello annunciato e che mi sento di condividere spiega ma non il meccanismo di avvicinamento dei tempi, troppo rapidi». Insomma, «c’è bisogno di un ulteriore confronto con il governo, si dovrà lavorare in Parlamento» perché dei margini di intervento per migliorare quella che nel vero senso della parola è una manovra da lacrime e sangue, ci sono ancora. Perché se è vero, ad esempio, che bisogna «mettere in sicurezza il sistema delle pensioni», è pur vero che se fatto in «modo ingiusto» allora tutto l’impianto diventa ingiusto, «e qui dentro», dentro le misure annunciate, «ce ne sono di inique». A partire dall’innalzamento del tetto delle pensioni di anzianità, soprattutto per «i lavoratori precoci», quelli cioè che hanno iniziato a lavorare prima dei 18 anni di età e che adesso vedono slittare ulteriormente, se non vogliono pagare una penale, il momento di uscita dal lavoro.
L’Ici progressiva viene letta dal segretario Pd come un segnale, «una bozza di patrimoniale», ma una bozza, appunto, e anche su questa si può rimettere mano per rendere più «rilevante il contributo sui grandi patrimoni». Bersani insiste anche sulla lotta all’evasione: «Positivo che si rafforza la lotta all’evasione fiscale», ma occorre aumentare di «4 o 5 punti il tasso di fedeltà fiscale» degli italiani. E positivo il fatto «che non si carichi ulteriormente su chi le tasse le paga».
Intanto stasera il coordinamento dei democratici si riunirà per studiare la manovra nel dettaglio e poi decidere quali interventi proporre nelle Commissioni. Ben sapendo quali sono gli umori di Cgil e elettori Pd.
Il leader Pd, come spiega senza giri di parole già nel pomeriggio durante il suo intervento agli Stati generalei della Cultura, sa bene che la strada è un percorso obbligato, che la manovra arriverà in Aula blindata perché queste «sono ore pesanti, potremmo dire anche drammatiche e bisognerà fare scelte difficili». Dice l’ Italia sta per entrare «in un mare in tempesta», dietro l’angolo c’è il rischio «default, cioè fallimento» e se questo è successo è «perché qualcuno ci ha portato fin qui» ma, aggiunge, «noi terremo la barra dritta, il timone, perché il Paese ha bisogno di una forza come la nostra». «Nervi saldi, timone saldo», spiegando, tuttavia, «con trasparenza le nostre posizioni agli italiani». Ossia: se siamo arrivati a questo punto è perché per anni «ci avevano detto che la crisi era psicologica, che non c’era, poi abbiamo sentito parlare di conti a posto e tanta gente che sapeva ha fatto finta di crederci». Il risultato è questo governo di emergenza nazionale, che il Pd appoggia e le cui misure voterà anche se non le condivide al 100%, ma è evidente che «c’è troppo da fare perché si riesca a dare risposte al Paese con una transizione». L’«orizzonte» non può che essere quello di uscire dalla transizione per passare alla «ricostruzione economica e sociale» con un programma di governo, con una coalizione ampia legittimata dal voto dei cittadini.
L’Unità 05.12.11
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“Bersani tira il fiato ma il Pd è in affanno”, di Carlo Bertini
Dopo una giornata al cardiopalmo, Pierluigi Bersani tira il fiato due minuti prima di entrare nello studio di Fabio Fazio, quando lo informano che Monti ha appena estratto il coniglio dal cilindro, la mini-patrimoniale sui capitali «scudati» fatti rientrare in Italia. Insieme all’annuncio che ora l’Italia è favorevole ad aumentare le tasse sulle transazioni finanziarie e la tracciabilità del contante sopra i mille euro, questa è la prova che le invocazioni del Pd hanno fatto breccia. E dire che fino alla notte di sabato, dopo aver visto Monti, il leader del Pd esclamava stizzito «e che ne so, che ne so?» quando gli si chiedeva se nella manovra sarebbe entrata un accenno di patrimoniale. Detto ciò, considerata la botta sulle pensioni e le cose non digeribili di «una manovra molto dura e non del tutto equa», le concessioni non bastano a rasserenare il partito in ambasce e il suo segretario. Il quale non a caso per due volte, prima ad un convegno e poi da Fazio, batte sul tasto del governo solo «di transizione» e indica il traguardo del voto come orizzonte politico per fare le altre dieci riforme che servono al paese.
Ma dalle tre alle otto di sera, quando il consiglio dei ministri è in corso, va in scena un’operazione a tenaglia su tutti i fronti, pubblici e privati, twitter, agenzie, telefonate ai più alti livelli, per indurre il premier a infilare nella manovra quello che 24 ore prima non compariva: una patrimoniale per indorare la pillola al mondo di riferimento della sinistra. Una campagna che la dice lunga sui timori di tenuta di fronte al proprio elettorato, con la Camusso che attacca il governo «che fa cassa sui poveri» e Vendola che sfotte «il fascino discreto della borghesia». Sarà dura, ammettono ai piani alti del Pd, dove non sfugge la partita che si è aperta nel sindacato, con la Cgil pronta a mobilitarsi e la Cisl che invece chiede concertazione. «Chi rischia di uscirne peggio è il Pd», nota Giuliano Pisapia, «perché così facendo Monti ferisce Bersani e se questo governo durerà, la situazione può diventare anche più grave per il centrosinistra», chiarisce il socialista Nencini. E nel giorno del giudizio, anche se dice «non sono pentito» della scelta di non aver chiesto le urne dopo l’uscita di Berlusconi, le piaghe dei sacrifici sociali messi nero su bianco esplodono subito. E la rabbia dei vertici Pd, incerti se il governo esaudirà le loro richieste, è lampante: a cominciare da Bersani che se la prende con la Lega, «non si azzardi ad accendere le polveri che ci ha messo sotto i piedi». E per tutto il giorno, il pressing dello stato maggiore è incalzante, tutti chiedono più equità, da Veltroni a Ignazio Marino, dalla Bindi e Franceschini fino ai sindaci e ai governatori come il toscano Rossi.
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“Pd in imbarazzo Bersani: decisioni non del tutto eque. E arrivano le proteste degli elettori”, di Maria Teresa Meli
Imbarazzo è una parola che i dirigenti del Pd non amano leggere negli articoli quando viene usata per descrivere lo stato in cui versa il loro partito. Imbarazzo, però, è una parola che ieri hanno utilizzato spesso pensando all’intervento che oggi Franceschini dovrà pronunciare a Montecitorio, dopo il discorso di Monti.
Sarà il capogruppo a parlare, salvo sorprese dell’ultima ora, e non il segretario. E per lui non sarà facile, perché se è vero che lo stato maggiore del Pd alla fine ha tirato un sospiro di sollievo perché poteva anche andare peggio, è altrettanto vero che queste non sono misure che collimano alla perfezione con le proposte del Partito democratico. «È una manovra dura e non ancora del tutto equa», ammette Bersani. E infatti il Pd subisce già i primi contraccolpi della manovra. La periferia è in agitazione, nel territorio le federazioni sono in allarme, e sono già tante le email di protesta degli elettori che i parlamentari stanno ricevendo.
A sera Bersani è provato e non è certo nelle condizioni di fare salti di gioia. Però qualcosa ha ottenuto. Sui costi della politica, un suo chiodo fisso, per esempio. E non solo. Tanto ha fatto e tanto ha detto, tampinando il governo per tutto il giorno, che ha strappato pure la tassazione aggiuntiva dei capitali scudati, anche se ben inferiore a quella proposta dal Partito democratico: «Non è tantissimo, diciamolo pure, ma continueremo il confronto in Parlamento per correggere questo punto». Altri fronti, a cominciare dal capitolo previdenza, sono rimasti scoperti e hanno lasciato il fianco del partito esposto ai malumori della Cgil e della sinistra. «Sapevo che non avremmo potuto cantare vittoria, che questa partita era difficilissima, perché certe misure proprio non vanno: non si fa abbastanza sull’evasione, sulla tassazione dei grandi patrimoni e sulla previdenza si accelera troppo, benché ci siano le indicizzazioni che rappresentano un buon segnale», spiega il segretario.
Ciò nonostante, il Pd non verrà certamente meno agli impegni che si era assunto nei confronti di questo governo: «Terremo i nervi saldi e la barra ferma», assicura Bersani che però non esclude di riuscire a ottenere deicambiamenti in Parlamento. Sempre che la manovra non sia blindata. E secondo molti parlamentari del Pd non dovrebbe essere, come afferma Paola Concia: «Dobbiamo lavorarci sopra per migliorarla».
Ma il segno più evidente dell’imbarazzo del Partito democratico è un altro. È rappresentato dall’insistenza con cui Bersani, per ben due volte nell’arco della giornata di ieri, evoca le elezioni. Non pronuncia mai esplicitamente questo termine, ma lascia capire che questo è il prossimo traguardo del Pd, finita la fase dell’allarme economia. «Questa — spiega il segretario — è una fase di emergenza e il nostro orizzonte va oltre. La nostra prospettiva è un’altra. Verrà il momento in cui ci assumeremo davanti ai cittadini le nostre responsabilità». Una frase che il segretario ripete a sera, ospite di Fabio Fazio a «Che tempo fa», mentre è in corso la conferenza stampa che il governo ha indetto per illustrare la manovra. Il conduttore gli chiede se l’orizzonte sono le elezioni e Bersani non nega, anche se preferisce continuare a chiamarle una «nuova prospettiva».
Insomma, il leader del Pd è convinto che «ci sia troppo da fare perché si riesca a dare risposte al Paese con una transizione». Come a dire, questo è un governo eccezionale per tempi eccezionali, dopodiché la parola deve ripassare alla politica: «Il Paese verrà messo di fronte a una nostra posizione chiara perché noi abbiamo un nostro orizzonte di ricostruzione economica e sociale del Paese».
E sicuramente, stasera, si parlerà anche di questo, oltre che dell’impatto della manovra, nel coordinamento che il segretario ha convocato per le venti. Perché, come osserva un autorevole esponente del Pd, «il conto della manovra è salato e la sfiducia rischia di investire anche noi». Nell’immediato i vertici del Partito democratico dovranno darsi da fare per rassicurare non solo elettori e militanti, ma anche dirigenti e parlamentari. Uniti dalla stessa preoccupazione, quella che è comune a Enrico Rossi, Ignazio Marino e Cesare Damiano: «Non è giusto che paghino sempre i soliti noti».
Il Corriere della Sera 05.12.11
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Il segretario pd “Poca equità, lavoreremo per rafforzarla”, di Giovanna Casadio
Bersani: insufficiente la tassa sui capitali scudati. Casini: manovra dura ma Monti convince. Ho la mia parte di delusione. Ora però nervi saldi. Entriamo in un mare in tempesta, salviamo la barca Italia. «Ore pesanti, drammatiche, entreremo in un mare in tempesta». Bersani lo ripete più volte, prima del consiglio dei ministri, in un discorso preoccupato all´assemblea del Pd sulla cultura. Dopo il varo della manovra, commenta in tv, a Che tempo che fa, praticamente in diretta con la conferenza stampa del governo, la stangata: «È una manovra molto dura che non risponde del tutto ai nostri criteri di equità». E quindi, i Democratici ce la metteranno tutta («Lavoreremo affinché l´equità sia più forte») per portare a casa qualche modifica in Parlamento. Sanno tuttavia bene che senso di responsabilità impone di votarla, poiché «siamo di fronte a un rischio default, al fallimento perché qualcuno ci ha portato fin qui… e gente che sapeva ha fatto finta di non sapere».
Critiche ma «nervi saldi e trasparenza», in casa Pd. Per il Terzo Polo, Casini scrive su Facebook: «Le misure sono durissime, ma Monti è risultato convincente. Preferisco un presidente del Consiglio che dice parole amare ma di verità, piuttosto che le vuote rassicurazioni del passato che hanno illuso il paese e rinviato la soluzione dei problemi». Certo la delusione serpeggia nei partiti del centro e del centrosinistra. Bersani la ammette: «Io ho la mia parte di delusione». Però afferma di avere la speranza del salvataggio: «Nel mare ci saranno molte onde ma salveremo la barca», cioè l´Italia. Entra nel merito delle misure.
Qualcosa di quanto chiesto dai Democratici c´è nel decreto: accolto ad esempio, il pressing per tassare i capitali rientrati in Italia con lo scudo fiscale varato da Tremonti e Berlusconi. «Una novità apprezzabile ma nei contenuti scarsa – dice il segretario – allargando questo bacino di solidarietà potremmo risolvere qualche altro problema». Un´altra buona notizia è che sia scomparso l´aumento dell´aliquota Irpef, che «non si carichi ulteriormente su chi le tasse le paga, soprattutto se si rafforza anche la lotta all´evasione fiscale». Però è la patrimoniale il tasto su cui il segretario democratico batte. «Si potrebbe dire che c´è una bozza di patrimoniale». Il Pd sperava ben altro. I militanti sono sul piede di guerra. Bersani aveva chiesto che si introducesse «il principio del concorso dei grandi patrimoni». Lo si chiami «Ugo o come si vuole, non abbiamo pruderie», ma doveva esserci. E se è buona la modifica della soglia per la de-indicizzazione della pensione, l´accelerazione, «i ritmi, i pesi e le misure in particolare per i lavoratori precorsi che non ci convincono». Oltre 40 anni di contributi non piace.
Un terreno minato da attraversare per i Democratici. Anche per questo oggi è stato convocato il “caminetto” dei leader, mentre già fissate sono le assemblee dei gruppi. Bersani indica inoltre il traguardo del Pd, che è al di là di questo governo tecnico e di emergenza: «Noi abbiamo un nostro orizzonte che si chiama ricostruzione economica e democratica, a questa esigenza non viene data risposta da una situazione di transizione». Ci vogliono le elezioni, le alleanze «senza fare giochi da ceto politico». Quindi, appello a un patto di riscossa civile. E un “affondo” a Bossi e ai parlamenti padani: «La Lega non si azzardi ora ad accendere la miccia delle polveri che ci ha messo sotto i piedi».
A chi chiede al segretario del Pd se si è pentito di non avere chiesto le elezioni, in un momento in cui il partito, secondo i sondaggi, è tornato al 30% dei consensi, risponde: «No, non erano immaginabili ancora mesi di bagarre… «. Durante la kermesse sulla cultura, aveva avvertito che se il berlusconismo è finito come sistema di comando, non lo è come movimento, ancora restano i pozzi avvelenati, lo stravolgimento dei valori e della politica. Franceschini su twitter: «Grazie a noi è migliorata sull´evasione».
La Repubblica 05.12.11