Il ceto medio attende con ansia di conoscere i contenuti della manovra, preoccupato che la « stangata » finisca per colpire reddito e beni dei soliti noti, di chi ha lavorato sodo pagando regolarmente le imposte. Il linguaggio giustiziero di una parte della sinistra e dei sindacati e le anticipazioni sul fisco (in particolare l’aumento dell’Irpef a partire da 75 mila euro lordi all’anno) segnalano che la preoccupazione non è infondata. Nella sua struttura complessiva, la manovra Monti si profila tuttavia come un pacchetto sufficientemente equilibrato, in cui il rigore è conseguito tramite un abbassamento di quelle «punte» nella distribuzione dei redditi connesse alle storture del nostro welfare e del nostro fisco. Nessun attacco, dunque, al ceto medio, ma una razionalizzazione distributiva al suo interno, per superare disparità di trattamento ormai prive di ragion d’essere e non più sostenibili.
Dal punto di vista fiscale il piatto forte della manovra sarà la rimodulazione dell’Ici, concentrandone l’impatto sui grandi patrimoni immobiliari: chi ha più case pagherà di più (così come pagherà di più per consumi e beni di lusso). Insieme alla revisione degli estimi catastali, ormai ridicolmente bassi rispetto ai valori commerciali, la riforma dell’Ici renderà il prelievo più equo, peraltro intercettando anche capitali frutto di evasione.
Una tassazione più elevata e più progressiva sui patrimoni immobiliari di maggiore rilevanza non dovrebbe spaventare il ceto medio. Il timore è invece più comprensibile nei confronti dell’aumento dell’Irpef, che rischia di accentuare le sperequazioni che già penalizzano lavoratori dipendenti e pensionati con redditi medio-alti, ma comunque non «ricchi»: un risultato perverso. Su questo fronte sarebbe forse meglio inserire (con opportune salvaguardie dei saldi finanziari) la revisione delle aliquote nella cosiddetta delega fiscale. Questo provvedimento sarà definito fra qualche settimana e potrà individuare il miglior mix fra aliquote più alte e minori detrazioni.
Sul versante della spesa, il cardine della manovra è certamente la riforma delle pensioni. Come è noto e documentato da tempo, nel nostro sistema previdenziale ci sono varie categorie (di ceto medio) che continuano a ricevere molto più di quanto hanno dato. Era ed è consentito dalla legge: nessuno va colpevolizzato né mortificato da un giorno all’altro nelle proprie aspettative. Ma a queste categorie è ragionevole ed equo chiedere qualche sacrificio. L’estensione del contributivo pro rata dal 2012 va esattamente in questa direzione, così come l’innalzamento dei requisiti d’età per la pensione, soprattutto quella di anzianità. Sarebbe auspicabile includere nel pacchetto previdenza anche l’abbassamento di qualche «punta» di generosità, ad esempio ponendo dei tetti ai trattamenti più elevati. Solo nel 2010 l’Inps ha liquidato 25 mila nuove pensioni di anzianità con importo mensile medio di circa 3.500 euro, per una spesa annua totale di più di un miliardo di euro. Sulle cosiddette pensioni d’oro si potrebbe peraltro dare qualche ulteriore sforbiciata anche ai trattamenti già in godimento.
Oltre ai sacrifici fiscali e previdenziali, la struttura della manovra Monti dovrebbe prevedere (almeno sotto forma di impegni ufficiali) anche misure «in positivo», volte a tutelare nuovi bisogni e fasce sociali appartenenti proprio al ceto medio-basso. La riforma degli ammortizzatori sociali e gli incentivi all’occupazione dovrebbero favorire donne e giovani, fino ad oggi mai seriamente inclusi nell’agenda delle riforme. E non sarebbe una cattiva idea riservare ufficialmente almeno una parte dei risparmi conseguiti dall’innalzamento dell’età pensionabile delle donne per il finanziamento di nuovi servizi sociali. Le dichiarazioni di Elsa Fornero sul cosiddetto reddito minimo (incredibilmente irrise dalla Cisl) fanno infine ben sperare in un impegno di questo governo nei confronti dei più deboli. Non dobbiamo dimenticare che al di sotto del ceto medio esiste purtroppo un’ampia fascia di famiglie prive di risorse, quasi sempre con figli. L’altissima incidenza della povertà fra i minori è una delle iniquità più vergognose e al tempo stesso invisibili del nostro modello sociale. Con tutti i limiti di una manovra messa a punto in due sole settimane, il governo Monti sta imboccando la strada più promettente per restituire all’Italia che lavora la prospettiva di una prosperità condivisa e sostenibile. Tutti i partiti e tutti i sindacati condividono pesanti responsabilità per le anomalie dello status quo distributivo e per la montagna del debito pubblico. Nessun attore politico può oggi ergersi a paladino dell’equità, ad arbitro imparziale di cosa vuol dire in Italia «più giustizia sociale». Non ci sono scorciatoie, né giustiziere (paghino i ricchi) né liberiste (basta tasse). Il sentiero equo è quello di una ricalibratura fine, ma incisiva e rigorosa, del nostro fisco e del nostro welfare. Con tempi rapidi, senza ipocrisie e senza irresponsabili giochi di parte.
Il Corriere della Sera 04.12.11