La funzione della tracciabilità totale dei pagamenti dovrebbe essere quella di abbattere la piaga del « sommerso ». Alcuni sostengono che complicherebbe la vita alle persone e alle aziende aumentando i costi. Ma già ora quando paghiamo con la carta di credito, il bancomat, un bonifico o un assegno, la registrazione viene fatta in automatico dai sistemi informatici bancari, e non è gravata di costi, tranne i bonifici, che se fatti online hanno costi irrisori o nulli. Negli Usa, dove con la carta di credito ci paghi anche il caffè al bar, molti trovano utile usare un servizio gratuito che analizza l’estratto conto per categorie e fa capire dove si spende di più.
Anche per le aziende diventerebbe molto più semplice, per esempio, analizzare i dati delle spese dei dipendenti e organizzare la contabilità. I pagamenti mediante carte di credito o bancomat hanno invece un costo sostenuto da chi vende il bene o il servizio. Aumentando il volume delle transazioni elettroniche, la commissione potrebbe scendere fino all’1,5%, che vorrebbe dire 15 euro ogni 1.000 di fatturato. A conti fatti credo che al commerciante, parrucchiere, benzinaio, meccanico, ecc costi molto di più l’esposizione al rischio di banconote false o al furto dei contanti che tiene in cassa. Tornando invece alla definizione del «sommerso», recentemente sono stata accusata di non sapere che l’Istat già include il sommerso nel calcolo del Pil ufficiale.
E’ vero, quando diciamo che il Pil è di 1 miliardo e 550 milioni, include anche la stima del sommerso. Ma come viene calcolato? Sulla base di ipotesi applicate ai dati disponibili, incrociandoli tra loro. Peccato che chi evade, se ha un minimo di buon senso, ad ogni richiesta di dati si guarderà bene dal fornire informazioni reali. Pertanto i dati disponibili sono per loro natura distorti e incompleti. Queste considerazioni trovano riscontro nella pubblicazione del Fondo monetario internazionale del giugno 2010, in cui si afferma che i metodi a disposizione per stimare l’economia sommersa «possono solo dare l’idea dell’ordine di grandezza e non una cifra esatta». Se consideriamo che nei momenti di crisi (come quella che stiamo vivendo dal 2007) il sommerso aumenta il proprio peso relativo rispetto al Pil, si può immaginare per il 2010 una percentuale che in parte verrà stimata dall’Istat (si parla del 20%), ma forse in parte gli sfuggirà per mancanza di dati o incoerenze al loro interno. Val la pena di riflettere sui seguenti fatti: i francesi pur dichiarando un reddito pro capite superiore al nostro del 15%, hanno un minor numero di auto per abitanti, inoltre abbiamo lo stesso consumo di auto di fascia superiore. Nel 2010 in Italia sono state immatricolate circa 160.000 fra Audi, Bmw e Mercedes, eppure solo 150.000 contribuenti dichiarano più di 150.000 euro l’anno, l’85% dei quali sono dipendenti. I francesi pur essendo statisticamente più ricchi di noi, solo il 55% ha la casa di proprietà, in Italia l’80%. Sono forse le nostre famiglie più indebitate delle loro? No. E sulle incongruità palesi si potrebbe scrivere a lungo. Ebbene i francesi pagano in contanti molto meno di noi, che invece ne facciamo un utilizzo superiore alla media Ue del 50%.
Coincidenze? Forse, ma meritano una riflessione sulla necessità di effettuare maggiori controlli ai contribuenti per incentivarli a fornire dati più vicini alla realtà (aiutando così l’Istat a stimare il vero Pil italiano). Se rientrasse nella stima ufficiale del Pil, il sommerso di cui parlavo abbasserebbe il rapporto Debito/Pil, ed abbatterebbe i timori degli investitori a comprare i nostri titoli di Stato. Le maggiori entrate erariali dovute alla riscossione sul sommerso ufficiale e quello che l’Istat non riesce ad osservare, genererebbero subito un surplus, che oltre a piacere agli investitori, potrebbe essere destinato ad abbassare la tassazione (a tutti, e non solo a quelli che possono evadere), a finanziare misure pro crescita quali opere strutturali di cui il Paese ha bisogno, e ad incentivare l’assunzione dei giovani.
Trovo infine ripugnante il pensiero che si debba accettare che alcune attività non paghino le tasse perché altrimenti fallirebbero. Dobbiamo sì disegnare un sistema che eviti che una grande percentuale di aziende e persone siano tassate al punto di fallire, ma dobbiamo anche disegnare un sistema dove chi commette un atto illecito, come quello di evadere le tasse, sia scovato e punito. Non si può continuare ad aumentare l’Irpef a chi già la paga. Occorre recuperare quelle imposte sui redditi che non vengono pagate dai soliti incalliti evasori che si avvantaggiano di uno Stato incapace di far rispettare le proprie leggi. E così facendo distorcono le leggi della concorrenza fra gli operatori di mercato. Chiudo in leggerezza: ma l’Olanda nel proprio Pil include anche il fatturato delle operatrici dei quartieri a luci rosse e dei coffee shop? Sì… essendo attività legali pagano anche le tasse!
Il COrriere della Sera 04.12.11