La parola-chiave della manovra che Monti presenterà lunedì agli italiani è una sola: equità. È questa l´unica «password», etica e politica, che potrà consentire al Parlamento, alle forze sociali e all´opinione pubblica di «accedere» a un programma di sacrifici inevitabili, ma altrimenti intollerabili.
Tutti parlano di equità. L´ha invocata il presidente della Repubblica il 13 novembre, quando ha conferito a Monti l´incarico di formare un nuovo governo, «su scelte urgenti di consolidamento della nostra situazione finanziaria e di miglioramento delle prospettive di crescita e di equità sociale». L´ha promessa il presidente del Consiglio nel discorso sulla fiducia il 14 novembre: «I sacrifici necessari dovranno essere equi». La chiede ora il leader del Pd Bersani, che oggi incontrerà il premier, alla ricerca di «soluzioni che coniughino il rigore con equità e consenso sociale».
Ma l´equità rischia di essere una parola vuota, e dunque la password rischia di non funzionare, se la manovra di Monti non si riempie di un significato politico chiaro, che vada oltre la pura tecnica dei numeri, dei fabbisogni, dei saldi. È evidente: al nuovo governo si chiedono riforme strutturali ambiziose, di durata lunga e di orizzonte vasto. Ma anche misure congiunturali pesanti, capaci di generare cassa subito. Potrà esserci uno scarto, nel trade-off tra i sacrifici immediati e i benefici futuri: 25 miliardi di euro in due anni non si mettono insieme senza affondare il bisturi nella carne viva della società italiana.
Il nodo è come, dove e perché si affonda quel bisturi. L´equità si può declinare in molti modi. Con un metodo consociativo da Prima Repubblica, si può colpire in modo indistinto su tutte le fasce sociali: siamo in emergenza, dunque tutti devono dare qualcosa. Ma ora si richiede un approccio diverso. L´Italia di oggi è provata da un ciclo estenuante di conflitti. Durante i governi Berlusconi, cui si deve un aumento del debito pubblico di 546 miliardi, il senso delle manovre è stato unidirezionale: colpire le constituency socio-politiche del campo avverso. Quindi stangate su lavoro dipendente, pubblico impiego, scuola.
Oggi, per essere davvero «equa», una manovra deve dunque pretendere molto da chi in questi anni ha dato nulla, e nulla a chi in questi anni ha dato molto. Questo principio, nelle 48 ore che mancano alla riunione del Consiglio dei ministri, dovrebbe guidare le scelte di Monti. Se partiamo da qui, si può già ragionare (e in qualche caso dubitare) delle ipotesi di intervento che circolano. Qualche esempio. Si parla di costi della politica: è giusto chiedere un tributo al risanamento a milioni di cittadini-elettori, ma non c´è equità se gli eletti non pagano per primi, qui ed ora, e non nella prossima legislatura. Si parla di previdenza: è giusto correggere gli squilibri generazionali per chi deve avere ancora accesso ai trattamenti d´anzianità, ma non c´è equità se si bloccano gli automatismi per tutti i 17 milioni di pensionati, compreso quel 48% di anziani che percepisce un assegno inferiore ai mille euro al mese, e quel 15% che ne percepisce uno inferiore ai 500.
Altri esempi. Si parla di un nuovo aumento delle aliquote Irpef: è giusto prevedere qualche inasprimento fiscale, ma non c´è equità se si continua a colpire il reddito piuttosto che il patrimonio. Si parla di un aumento degli ultimi due scaglioni più alti, quelli al 41 e al 43%: è giusto che i «ricchi» paghino di più, ma non c´è equità se si continua a considerare «ricco» il ceto medio e a prendere come base imponibile da colpire la categoria di reddito da lavoro dipendente con 55 mila euro l´anno, salvando ancora una volta la zona grigia del lavoro autonomo che denuncia meno di 20 mila euro l´anno. Si parla di provvedimenti sulla sanità: è giusto ridurre gli sprechi del servizio sanitario nazionale, ma non c´è equità se si torna al ticket sui ricoveri ospedalieri, cui ricorrono ormai solo le fasce sociali più povere.
Si potrebbe continuare. L´elenco delle ipotesi intorno alla manovra è lungo, e in ogni capitolo si può annidare la ripetizione dell´iniquità, che è stata la cifra dei governi ideologici berlusconiani. Oppure la rinuncia all´equità, che può essere la cifra dei governi tecnici, se e quando affrontano una manovra economica con una visione ragionieristica e con in dosso il solo «saio fiscale». Guardando il grafico del disavanzo pubblico, senza colmare il deficit politico che rischiano di produrre. Guardando ai mercati e alla Bce, senza vedere le persone in carne ed ossa, i corpi intermedi che gli danno voce e i Parlamenti che le rappresentano.
Quello di Monti è nato come un «governo di scopo». Ed è vero: il risanamento dei conti e il rilancio della crescita sono uno «scopo» tecnico. Ma hanno dentro un potenziale politico enorme. Monti deve avere il coraggio di «scoprirlo». I partiti, in questa tregua solo apparentemente tecnocratica, devono ritrovare la forza di dispiegarlo. La password c´è: basta usarla bene.
La Repubblica 03.12.11