Niente scherzi. Dopo avere già assistito in questi anni all’incenerimento di «375 mila leggi inutili», all’«abolizione di tutte le Province», a «tagli epocali ai costi della politica », alla «più spettacolare riduzione delle tasse di tutti i tempi», al «taglio di 50 mila poltrone», al «raddoppio del contributo di solidarietà» sulle buste paga dei parlamentari e via tambureggiando in una serie di annunci trionfali evaporati nel nulla, i cittadini non potrebbero perdonare un altro zuccherino propagandistico.
Gli italiani lo sanno: rotto l’incantesimo del «siamo messi meglio degli altri », la situazione è pesante. Sanno che, per il bene dei figli e dei nipoti, saranno toccate le pensioni. Che, per sottrarre i Comuni con l’acqua alla gola al ricatto di cedere in cambio degli oneri di urbanizzazione su varianti urbanistiche che devastano il paesaggio, sarà reintrodotta (si spera con una equa gradualità) una tassa sulla prima casa. Sanno che c’è il rischio di un aumento delle aliquote fiscali per i redditi più alti. Ma guai se, chiamati a fare sacrifici dopo aver già visto nell’ultimo decennio il Pil pro capite calare del 5%, si accorgessero di essere presi in giro. A partire dall’unica vera svolta annunciata: la riforma dei vitalizi.
Le fibrillazioni di tanti parlamentari davanti all’ipotesi che, con quasi 17 anni di ritardo rispetto alla riforma Dini, passi infine anche per loro dal prossimo 1 gennaio il sistema contributivo, non promettono niente di buono. Tanto più che quelli con meno di 55 anni che vedono di colpo il loro vitalizio alleggerirsi e allontanarsi di anni sono addirittura 238. Quanti bastano, se vogliono, per terremotare il cammino della manovra.
Certo, resta nei confronti degli altri italiani un privilegio non secondario. Se anche passasse così com’è il progetto di riforma, il parlamentare in aspettativa dal suo lavoro si ritroverebbe, lui solo, con due contributi figurativi che, versati uno dal datore di lavoro e l’altro dal Parlamento, gli garantiranno comunque due assegni pensionistici. E meglio sarebbe se la riforma fosse fatta fino in fondo: chi fa il parlamentare fa il parlamentare. Punto. Come in America e in altri Paesi. Con tutte le conseguenze, anche contributive, del caso. Ma, si dice, piuttosto che niente meglio piuttosto. Purché la svolta non venga svuotata da misteriosi codicilli infilati dalle solite misteriose manine. E purché sia chiaro che non si tratta di una regalia nei confronti «del chiasso qualunquista antipolitico » ma di un atto di giustizia.
«Se si toccano i diritti acquisiti bisognerebbe dare indietro i soldi a quelli che hanno pagato per acquisirli. Sennò è come se li avessero truffati», ha detto con l’aria del condannato al patibolo il deputato «responsabile» Maurizio Grassano. Prendetelo in parola: ridategli i soldi e ciao. Perché la truffa è far credere che il vitalizio restituisca al parlamentare solo quanto ha versato. Falso: per ogni euro di contributi che ricevono, le «casse» di Montecitorio e di Palazzo Madama ne sborsano in vitalizi 11. Con il sistema attuale, dice uno studio dell’Istituto Bruno Leoni, un parlamentare di 45 anni con una sola legislatura riceverà in media il 533% di quello che ha versato. Qualunque altra mutua, con i conti così, sarebbe chiusa coi lucchetti.
Ma se mettere ordine in questo caso spetta al Parlamento (e alle Regioni, troppo spesso tentate dal rinvio nella speranza di non toccare niente) anche il governo deve fare la sua parte. Certe anomalie, certe nomine di ministri e sottosegretari, certi potenziali conflitti d’interesse rischiano di minare una fiducia oggi indispensabile. Mario Monti ha garantito «la massima trasparenza». Prima lo dimostra, meglio è.
Il Corriere della Sera 03.12.11