«Italia, saccheggio del paradiso dell’arte». Il nuovo ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi si stampi in testa questo titolo del Mundo. E cambi finalmente, subito, una legge infame. Quella che consente di arrestare un pensionato che ruba scatolette di tonno al supermercato ma non il trafficante che ha in mano il Cratere di Eufronio o altri pezzi da milioni di euro. Per l’Ufficio delle Nazioni Unite di Vienna che se ne occupa, il traffico illegale di opere d’arte è il quarto business del crimine mondiale dopo i traffici di droga, armi e denaro riciclato. E l’Italia è il Paese in assoluto più colpito. «Il sacco di Roma dei Lanzichenecchi nel 1527 e le spoliazioni napoleoniche dell’Ottocento sono eventi che impallidiscono se messi a confronto al volume dei furti del giorno d’oggi, sempre più “sponsorizzati” dalla criminalità organizzata», ha scritto Avvenire riprendendo il Rapporto sulle Archeomafie redatto dai carabinieri del Comando tutela patrimonio artistico, che insieme coi cugini della Guardia di Finanza tentano da anni di arginare come possono l’emorragia.
Mettono a segno spesso colpi formidabili. Ma è come tentare di svuotare il mare con un secchiello.
Tanto per dare un’idea: il sito Internet che riporta le «opere di particolare rilevanza» tra i «Beni culturali illecitamente sottratti», quotidianamente aggiornato, riportava ieri 5295 oggetti. E parliamo solo di quelli «di particolare rilevanza». Eppure tra i 69.000 detenuti che oggi affollano le carceri italiane neppure uno risulta essere in cella per avere rubato un quadro, scavato una tomba etrusca o trattato con un ricettatore straniero la vendita di un vaso antico.
Peggio, come spiega Fabio Isman, autore de I predatori dell’arte perduta, «nessuna sentenza di condanna, che si sappia, è mai diventata definitiva». Nelle prossime settimane dovrebbe arrivare in Cassazione il processo a Giacomo Medici, forse il più noto dei trafficanti internazionali, già condannato in primo (10 anni e 10 milioni di euro di provvisionale allo Stato per i danni al patrimonio artistico) e in secondo grado. In un deposito a Ginevra aveva centinaia di pezzi meravigliosi e le foto di uno scavo fatto da ignoti tombaroli in una villa pompeiana affrescata, forse a Oplontis, di cui gli archeologi ignoravano (e continuano a ignorare) l’esistenza. Ma l’ipotesi che vada in galera, a questo punto, è comunque remota.
Scrive Isman che «la Razzia è immensa». Al punto che anni fa un’indagine della Camera dei Comuni di Londra valutò che «il traffico illecito di antichità e cultura superi i 6 miliardi di dollari all’anno. Per buona parte, oggetti italiani». Eppure, esattamente un anno fa, Marion True, un’elegante signora americana per venti anni dirigente del Getty Museum di Los Angeles, nonostante avesse «pacificamente ammesso» a proposito di diversi acquisti di preziosi pezzi archeologici di essersi «resa conto che i reperti erano frutto di scavo clandestino» se l’è cavata senza danni: tutto prescritto.
Anche la mafia, come ci ha rinfacciato perfino il giornale cileno La Tercera, si è impossessata di qualche capolavoro. Come la Natività di Caravaggio, rubata nel lontano 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo. Dipinto nel 1609, varrebbe almeno 30 milioni di euro e secondo il pentito Totò Cancemi «veniva esposto durante le riunioni della Cupola».
Il panorama, purtroppo, è quello descritto dal già citato El Mundo: «Ogni anno, migliaia di pezzi vengono rubati da chiese, monumenti e musei italiani senza che le autorità siano capaci di porvi un freno. In Italia esistono più di 3.500 musei e 2.000 siti archeologici che sono costantemente saccheggiati da ladri senza scrupoli che vendono poi la merce al mercato nero. Nel Paese con il maggiore patrimonio artistico e culturale dell’umanità, praticamente nessun tipo di opera pittorica, scultorea o architettonica è in salvo».
Bene: in questo contesto agghiacciante il nuovo codice dei Beni culturali varato dal governo Berlusconi e dal ministro Giuliano Urbani il 22 gennaio 2004 (ma il guaio era già parzialmente anticipato nel Decreto legislativo 29 ottobre 1999 impostato dalla sinistra quando a Palazzo Chigi c’era Massimo D’Alema) prevede pene ridicole. Al massimo i tombaroli, i ricettatori e i trafficanti d’arte rubata in genere rischiano multe così basse da essere comiche (da 775 a 38.734,50 per chi, ad esempio, «procede al distacco di affreschi…») e una reclusione massima di tre anni. Così bassa da escludere la galera prima di una condanna (campa cavallo…) definitiva.
In parole povere, spiega Paolo Ferri, un magistrato che sempre combatte su questo fronte, quel decreto creò una vera e propria fattispecie nuova di reato, dimenticando del tutto le aggravanti previste per gli altri tipi di furto. Risultato: anche quando è teoricamente prevista la possibilità di arrestare il delinquente non c’è però quella di metterlo dentro. A meno che i carabinieri o i finanzieri non siano certi di potere dimostrare, con prove inconfutabili, che il trafficante ha materialmente danneggiato lui l’opera d’arte che ha in mano.
Tre esempi dicono tutto. Il primo è quello dei trafficanti che trovarono il meraviglioso monumento funerario di Lucus Feroniae, a Fiano Romano, lo ridussero in 12 pezzi e lo seppellirono in attesa di trovare un compratore. Il secondo è quello del vecchio tombarolo che tre anni fa a Ostia Antica recuperò il favoloso «sarcofago delle Muse» (uno degli 11.258 reperti che i finanzieri del Gruppo tutela patrimonio archeologico comandati da Massimo Rossi hanno salvato nel biennio 2008-2009) e fu beccato con in mano un cric da carrozziere con il quale voleva staccare ogni statuina dalle altre per correre meno rischi e forse guadagnare di più vendendole separatamente. Il terzo quello del «predatore» che nel gennaio scorso fu fermato mentre cercava di andarsene, probabilmente all’estero, con la grande statua di Caligola in trono che aveva trovato scoprendo la villa dell’imperatore a Nemi.
Pare impossibile: nessuno è stato ammanettato. «Se in un negozio rubi un maglione da 19 euro rompendo un sigillo puoi essere arrestato, incarcerato e rischi fino a 10 anni — commenta amaro Paolo Ferri —. Se ti prendono col Cratere di Eufronio o qualche altro pezzo che vale milioni no».
Una schifezza. Che Giancarlo Galan, messo sotto pressione in un convegno, aveva giurato di cambiare. E c’era quasi riuscito: il 20 settembre, in Consiglio dei ministri, aveva infatti portato un disegno di legge per raddoppiare le pene da tre a sei anni. Cosa che consentirebbe l’arresto, la custodia cautelare, l’allungamento dei tempi per la prescrizione e le intercettazioni, più che mai indispensabili per questo tipo di reati.
Di quel disegno di legge, travolto dalla caduta del governo, non si sa più nulla. Ecco, sarebbe bello se Lorenzo Ornaghi partisse da lì: l’Italia non merita di subire ancora l’umiliazione provata da chi combatte i «predatori dell’arte perduta» che stuprano le nostre bellezze artistiche e non può neppure metter loro le manette.
Il Corriere della Sera 01.12.11