Tra i non pochi problemi del sistema fiscale italiano, l’evasione è quello principale: almeno 120 miliardi di euro l’anno, 8 punti di Pil, da 2 a 3 volte l’entità riscontrabile negli altri Paesi avanzati. In altre parole l’evasione in Italia è fenomeno non solo endemico, ma di massa, che coinvolge milioni di persone (e imprese) per cifre unitarie che possono anche non essere elevatissime. Sono queste caratteristiche che rendono particolarmente difficile il contrasto all’evasione nel nostro Paese in quanto tale attività pone un problema di consenso rilevante. In altre parole la riduzione dell’evasione in Italia è più un problema politico che un problema tecnico.
Sull’evasione si sa tutto; si conosce il suo ammontare e anche la sua distribuzione territoriale; si conosce chi evade di più o di meno: poco lavoratori dipendenti e pensionati (straordinari o attività secondarie in nero); non molto le imprese industriali in senso stretto, molto le costruzioni, il commercio, gli alberghi e ristoranti, i servizi, un po’ meno le professioni; molto più le imprese piccole rispetto a quelle di maggiori dimensioni e più strutturate (che viceversa eludono quando possono); come ammontare l’evasione è (molto) più elevata al Nord, ma in percentuale delle basi imponibili è maggiore al Sud.
In sintesi si può dire che là dove redditi e compensi sono “tracciati”, e soprattutto là dove sono certificati da una parte terza, l’evasione è assente o minore. Dove ciò non avviene l’evasione è più elevata. Perciò tra il 2006 e il 2008 la “tracciabilità” fu posta al centro dell’azione di governo come strumento di contrasto all’evasione fiscale. La tracciabilità tuttavia consiste in un insieme di misure articolate che prevedono soluzioni diverse per situazioni diverse: innanzitutto è opportuno il ricorso a sostituti di imposta là dove è possibile o la diffusione e estensione di strumenti elettronici: dalle fatture elettroniche all’elenco clienti e fornitori (importantissimo), alla trasmissione telematica dei corrispettivi nel commercio al dettaglio o nei distributori automatici nei cui confronti manca ogni controllo.
Naturalmente è anche molto importante la disincentivazione dell’uso del contante che tuttavia non si realizza tanto con la previsione di un unico limite ai pagamenti in contanti (300-500 € come si propone), bensì con misure specifiche per settori e situazioni specifiche: dall’obbligo di pagamento solo con strumenti tracciabili per le attività professionali, o per i pagamenti di canoni o oneri deducibili o detraibili, al divieto dell’uso del contante per il pagamento delle retribuzioni o di altri compensi. Prima della caduta del governo Prodi inoltre erano allo studio misure per l’introduzione del cosiddetto “borsellino elettronico” vale a dire di carte di pagamento per le micro transazioni, dalla consumazione al bar, all’acquisto del giornale, all’autobus, al taxi. Questi strumenti sono molto diffusi in altri Paesi (Francia, Belgio) e possono gradualmente sostituire gran parte del contante negli usi e abitudini quotidiane senza obblighi o divieti particolari, ma per semplice convenienza. Altri studi riguardavano l’uso del cellulare per pagamenti anche di ammontare più rilevante.
Queste proposte vanno riprese, tenendo presente che anche se un limite generale all’uso del contante è importante e utile, il contrasto del riciclaggio e la lotta all’evasione non coincidono esattamente. Va sottolineato comunque che questi strumenti dovrebbero essere privi di costi per gli utenti, dal momento che un consistente vantaggio per le banche sarebbe rappresentato dalla riduzione dei costi, molto elevati, connessi alla gestione di contanti.
Per completare gli interventi relativi alla tracciabilità, alle misure già introdotte nel biennio 2006-2008 andrebbe aggiunta la trasmissione automatica al Fisco dei saldi finanziari e delle variazioni dei costi di tutti i contribuenti come avviene in Francia. Ciò renderebbe inutile il ricorso ad una specifica dichiarazione delle consistenze patrimoniali dei contribuenti, in quanto esse potrebbero essere ricostruite dal Fisco in modo diretto usando le banche dati disponibili (catasto più i nuovi dati patrimoniali).
Queste misure, per poter funzionare devono essere ad applicazione generale e non implicano costi aggiuntivi per i contribuenti. Esse hanno sia la funzione di fungere da deterrente, che di alimentare le banche dati del Fisco che disporrebbe di tutte le informazioni necessarie a conoscere la situazione economica effettiva dei contribuenti. Sarebbe così possibile ottenere un assetto razionale della organizzazione dei controlli. Infatti il Fisco dovrebbe cambiare la sua organizzazione attuale rendendone le modalità di funzionamento più simile a quelle degli altri Paesi europei dove il contatto diretto, la conoscenza, il dialogo e il confronto rappresentano la regola.
Il problema infatti non è quello di operare accertamenti sintetici, bensì di fare in modo che i contribuenti siano consapevoli del fatto che le autorità fiscali conoscono la loro effettiva situazione economica e seguono la loro attività e quindi dichiarino quanto guadagnano o fatturano in modo da evitare controlli molto puntuali.
Seguendo in modo coerente e costante queste strategie, in un congruo numero di anni il problema dell’evasione fiscale in Italia potrebbe essere risolto, vale a dire riportato a dimensione fisiologica. Un’agenda simile a quella descritta sembra essere parte del programma dell’attuale governo. Essa va verificata e attuata rapidamente prima che il consenso politico, o per lo meno il non dissenso, venga meno.
Il Sole 24 Ore 29.11.11