Berlusconi lascia, anzi no, raddoppia gli sforzi, così dice lui, per rianimare l’esercito sbandato. Dopo l’eclisse parziale, il grande condottiero ritrova la parola. E marcia intrepido in vista della suprema battaglia. Oltre alla parola, anche il nemico è stato presto ritrovato. Sono i comunisti, come sempre, a turbarlo e a ridare un senso alla sua vita. Quali comunisti, però?
Saranno mica gli undici giudici della Consulta (gli altri quattro possono dormire tranquilli perché sono stati censiti dal Cavaliere e arruolati nei fidati ranghi della destra)? Ma dalla Corte costituzionale non si attendono imminenti pronunciamenti sulle norme ad personam e sui conflitti di attribuzione. Non è perciò in quei paraggi che il Cavaliere vede rosso. E allora a tremare dinanzi al vendicativo del Cavaliere saranno forse le toghe di Milano dove volgono al termine processi scottanti. Ma lì, però, i magistrati civili o penali sono addirittura oltre il bersaglio di fuoco di Berlusconi.
In Procura, si sa, oltre ai giudici strani, smascherati dalle telecamere mentre indossano calzini turchesi, si annida anche una sanguinolenta protesi del terrorismo, altro che comunisti.
È probabile allora che i comunisti da schiacciare siano altri, i professori, i finanzieri, i banchieri, tutti quanti cioè nel “Consiglio di Facoltà” pensano alla patrimoniale o alla tracciabilità degli assegni per curare l’emergenza.
Indubbiamente, se il “preside” che sta a Palazzo Chigi evoca misure così provocatorie, avrà la risposta che merita. Non si minaccia impunemente la libertà (dal fisco, dall’eguaglianza,almeno nei sacrifici).
Non potendo più, dopo aver sloggiato da Palazzo Chigi, cambiare il diritto ereditario con le norme anti Veronica, al Cavaliere non resta che annunciare l’ultima, risolutiva disfida a difesa del sacro avere.
Contro chi prova a toccare la roba, torna a tuonare rispolverando «il dovere di continuare a combattere per la nostra libertà». Stringe i muscoli e rigonfia il petto e, un con ritmo ternario tanto caro alla retorica di un altro decaduto Cavaliere, Berlusconi grida:«Siamo stati in campo, restiamo in campo e saremo ancora in campo».
Le perfide quinte colonne dell’asse plutocratico franco-tedesco, cui spezzare le reni con una santa rivolta della rude Italia proletaria, sono così avvisate. In mano, il Cavaliere combattente stavolta ha un’arma letale, la rete. E proprio con i nuovi media del 2.0 appena arruolati intende entrare nella furente mischia contro banche, mercati, tecnocrati.
E pensare che, solo qualche tempo fa, Berlusconi aveva parlato del motore di ricerca Google pronunciandolo “Gogol”. Ma allora sedeva accanto, in conferenza stampa, a Mubarak. Si, proprio lo zio.
L’Unità 28.11.11