La linea che traccia il perimetro del nostro territorio mai è apparsa così incerta e permeabile e mai è stata tanto rigida ed escludente. Dall’una e dall’altra parte di quel confine, lo scialo di morte non necessaria (se mai una morte può dirsi necessaria) grida vendetta. Grida vendetta davanti a Dio e agli uomini. Morte non necessaria: e proprio perché balza agli occhi così inequivocabilmente e oscenamente il legame inestricabile tra tanti lutti e le responsabilità umane. Al di qua del muro che cinge la Fortezza-Europa e la Fortezza-Italia, si contano migliaia e migliaia di morti e feriti e invalidi per incidenti sul lavoro: quasi tre che perdono la vita ogni giorno, per limitarci all’Italia. Al di là di quello stesso muro, nel Mar Mediterraneo, quello che fu nostrum e che ora è di pochi e potentissimi, sono quasi sette quotidianamente i morti e i dispersi. Come non chiamare strage una simile tragedia? Eppure ci abbiamo messo decenni perché la percezione di quanto fosse scandalosa quella lunga teoria di «morti bianche» (così chiamate una volta) diventasse consapevolezza collettiva: quanto ci vorrà ancora perché diventi infine inaccettabile lo stillicidio di cadaveri portati sulle nostre coste dai movimenti di un mare diventato -da canale di transito quale era- nemico insidioso?
Insomma, quando l’intollerabile ci apparirà finalmente per quello che è: intollerabile, appunto. Perché questo è il nodo vero. Non c’è dubbio, infatti, che quella degli sbarchi sia questione complicata e di difficile soluzione, che richiede politiche sovranazionali e interventi di lungo periodo, strategie complesse e grandi risorse e l’impegno dei paesi rivieraschi. Ma, detto tutto ciò e considerato tutto quanto è doveroso considerare, resta un dato pesante come un macigno e doloroso come una ferita aperta. Quel dato non può sopportare l’inevitabile lentezza delle grandi decisioni politiche e la vischiosità della concertazione europea e internazionale.
Quel dato urla una sofferenza non lenibile: a partire dal primo gennaio del 2011 e fino a ieri sono stati 2160 i migranti morti o dispersi nel tratto di mare tra l’Africa e l’Europa. Circa duecento al mese e, come si è detto, quasi sette al giorno. È una cifra che risulta dal confronto tra le stime elaborate dall’Osservatorio di Italia-razzismo, da Fortress Europe e da un coordinamento di associazioni (Acli, Centro Astalli, Caritas Italiana, Comunita’ di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Fondazione Migrantes).
Ecco, è possibile accettare che una simile macabra contabilità diventi un tratto ordinario e fisiologico del panorama geo-politico, e solo perché si registra appena una spanna oltre il nostro recinto domestico? Tanto più che quelle cifre crudeli sono l’esito della maledetta combinazione di più irregolarità. L’irregolarità delle imbarcazioni, del numero di passeggeri, di chi li trasporta in Italia, delle condizioni di navigazione e infine, l’irregolarità delle persone a bordo. Il che comporta in genere, per i sopravvissuti, la decisione dell’immediato rimpatrio. Ebbene, è da qui che si può e che si deve partire per porre riparo – almeno un primo e provvisorio riparo – a questo dramma, facendo sì che quella condizione di irregolarità che avvolge e stigmatizza, mortifica e deturpa chi cerca in Italia una via di scampo, non diventi una condanna inappellabile.
È un compito che il ministro della Cooperazione e integrazione, Andrea Riccardi, che il problema conosce assai bene, può iniziare ad affrontare. Un esempio: una delle cause di quella strage nel Mediterraneo va addebitata al potenziamento dell’agenzia Frontex, l’organismo incaricato del pattugliamento delle “frontiere esterne” dei paesi dell’Unione Europea. Seppure non vi fosse una relazione immediata di causa-effetto, non c’è dubbio che sistemi rigidi di controllo (come è Frontex) inducono a «strategie di accesso» illegali, che finiscono col determinare un numero maggiore di vittime. Da qui una proposta, quanto mai ragionevole ed «europea»: far sì che Frontex si trasformi, da subito, in un meccanismo di regolamentazione dell’ingresso legale in Europa per quanti vogliano cercarvi una chance di vita. Se ne avrebbe un grande vantaggio intanto per il nostro livello di civiltà giuridica e, in prospettiva, per il nostro benessere economico.
L’Unità 28.11.11