Si è appena svolta la giornata internazionale contro la violenza variamente esercitata sulle donne, una piaga dalla quale il nostro Paese non è immune. Basti dire che, secondo quanto riferito dal Censis, da noi una donna su tre è vittima di prevaricazione fisica o sessuale e che ogni anno un centinaio di esse vengono uccise da fidanzati, mariti, compagni, siano effettivi o ex. Quasi alla vigilia della celebrazione, si era concluso a Velletri un processo per molti versi esemplare. SI trattava di giudicare tre giovani, tutti maggiorenni, che avevano stuprato una ragazza di sedici anni dopo averla trascinata in un garage.
Nel tribunale si era radunata in attesa della sentenza una piccola folla di parenti e amici degli imputati.
L`udienza era a porte chiuse e fuori dall`aula la tensione palpabile.
Quando i tre sono usciti, manette ai polsi, è stato uno di loro a comunicare l`esito del processo gridando: «Mi hanno dato otto anni e mezzo». È successo il finimondo.
I presenti hanno manifestato la loro furia minacciando di morte i giudici terrorizzati e barricati, scontrandosi con i carabinieri di servizio, devastando gli arredi del tribunale. Sono occorsi rinforzi per contrastare gli energumeni, uomini e donne, e trasferirne in carcere una ventina.
Il fatto, inaudito, si presta a una serie di considerazioni. Non si tratta soltanto dell`esigenza di salvaguardare elementari misure di sicurezza per chi è chiamato a esercitare le delicate funzioni giudiziarie.
È scattata infatti nei confronti dei condannati un`inquietante solidarietà. Al di là del comprensibile dolore e_dell`eventuale severità della condanna, si è manifestata una morale del clan con- trapposta alle norme del diritto comune, come se il comportamento dei tre sciagurati si rispecchiasse nel branco dei familiari.
Che pretendevano una assoluzione, ignorando le sofferenze della povera ragazza, tacciata di connivenza e menzogna, perfino di turbe psichiche. E una storia che si ripete tristemente, con la vittima esposta a una ulteriore violenza, all`umiliazione di una verità negata.
La violenza contro le donne è una ferita profonda che attraversa la società e deve essere contrastata senza indulgenza, a partire da una capillare, dissuasiva opera di educazione e informazione.
Un Paese civile non può accettare un così brutale attentato alla libertà personale, aggravato dall`offesa all`integrità fisica. E aggiungiamoci la vigliaccheria nei confronti di creature portatrici di una naturale fragilità e inermità (sono per lo più le donne a pagare, nel contrastato rapporto con l`altro sesso). Urge, tra gli altri provvedimenti, coltivare, contro ogni supponenza, un maschile senso di vergogna.
La Stampa 27.11.11