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"Una riforma e quattro principi", di Donata Lenzi

Tutti i grandi quotidiani di oggi parlano di pensioni riprendendo un articolo di prossima pubblicazione su “Italiani Europei” scritto da Elsa Fornero prima di diventare ministro.
Suggerirei di leggere con attenzione, ma prima di rompersi la testa ricordiamoci che una cosa è uno studio, una cosa una proposta del governo confrontata con le parti sociali. Non sappiamo ancora cosa esattamente proporrà. Qualche “paletto” però possiamo metterlo.

Comincio con il dire che il vitalizio dei parlamentari è la prima cosa che, giustamente, salta; infatti su nostra proposta Senato e Camera ne hanno già votato l’abrogazione. Non era l’unica cosa che abbiamo proposto e ottenuto nel nostro ordine del giorno del 3 agosto accolto dalla presidenza (per una lettura integrale delle undici proposte rimando alla news a lato). So che qualcuno dirà “non basta”, vorrei farvi notare però che l’ordine del giorno e il suo contenuto è sconosciuto ai più e nascosto volutamente dai media.

Pensioni. Riporto la versione integrale, prima dei tagli, del mio articolo che oggi ha pubblicato l’Unità dal titolo “Una riforma e quattro principi”, che vuole condividere con voi quelle che sono i principi inderogabili a cui dovremmo per me attenerci qualunque sia la proposta di riforma che arriverà.

“ Cresce e si diffonde la paura per i propri destini personali a fronte di una ulteriore riforma o accelerazione della riforma delle pensioni. La preoccupazione si alimenta con il moltiplicarsi degli articoli e delle dichiarazioni nell’assenza di dati, numeri, esempi. Non si sa al momento se e quanto si risparmia e se il risparmio sia destinato a garantire la sostenibilità del sistema previdenziale o a riduzione del debito. E non si sa cosa capita ad ognuno, mettendo in crisi aspettative di vita a lungo coltivate. Ci vuole più trasparenza.

Si parla però molto di equità. Permettetemi di dubitare dell’equità formale, quella che fa parti uguali tra diseguali, quella che fa indossare a tutti, uomini e donne, grassi e magri la divisa taglia 48. Applicare un solo rigido schema ad un sistema diseguale, quale il nostro, fa correre il rischio di far pagare in un giorno solo e solo ad un gruppo una rilevante cambiale. Consapevole della necessità di andare al sistema contributivo per tutti ritengo però che si deve tener conto di quattro principi.

Primo: nell’emergenza tuteliamo i più deboli. Sappiamo che sono quarantamila le domande di pensionamento di lavoratori in mobilità, a fronte della copertura per soli diecimila. Altri purtroppo si aggiungeranno in questi mesi. Allungare l’età pensionabile per molti di loro vuol dire la miseria.

Secondo: accelerare non significa dimenticarsi che la gradualità motivata garantisce equità. Una significativa riduzione dell’importo della pensione praticata nei confronti di chi non se la aspettava e non è più in grado di farvi fronte per età raggiunta e per reddito attraverso il risparmio privato, non è accettabile. Aggiungo che, in un paese dove ancora conta la rete familiare, per fortuna, non comprendo quale vantaggio ne abbiano i giovani se dovranno farsi carico di sostenere le spese conseguenti all’invecchiamento dei genitori.

Terzo: l’archiviazione definitiva dei privilegi, politici e non solo, e anche qui in modo graduale ma deciso, è necessaria e il sistema deve tendere alla omogeneità. Omogeneità comporta mettere mano alle aliquote contributive a cominciare dai fondi speciali il cui squilibrio è pagato dal fondo lavoratori dipendenti e dalla gestione separata. Ci deve accompagnare la consapevolezza che in futuro si cambierà ancor di più lavoro, impresa e settore, quindi dobbiamo costruire un sistema dove ci si iscrive all’Inps e non a un fondo categoriale.

Quarto e ultimo: facciamo attenzione alla media. Ho visto un dato recente dell’istituto nazionale di statistiche e di studi economici francese “gli operai vivono oltre sei anni in meno dei dirigenti”. Sono certa che valga anche in Italia. Possiamo ragionare allora di aspettativa media di vita? Come negli altri paesi europei, quanti anni si è lavorato e che lavoro si è fatto non può essere ignorato. Detto in altri termini, quarant’anni di lavoro e di contributi è una tetto che merita di essere mantenuto ”.

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