Gli stiamo costruendo un futuro da poveri». La sociologa Chiara Saraceno non è sorpresa dalle allarmate parole con cui il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nell’intervista a l’Unità ha descritto la situazione dei giovani in Italia. «Il suo grido d’allarme è condivisibile -dice -. Purtroppo, il tema non è nuovo». La diagnosi del governatore Visco è chiara, ma la terapia c’è? «È tanto che si sente questo grido di dolore, il problema è che si è fatto pochissimo. Visco centra la questione: i bassi salari di ingresso dei nostri giovani laureati. Qui la contraddizione è fortissima, perché non solo sono costretti a lavorare e a vivere in modo precario, non solo sono quelli su cui si scaricano le rigidità del nostro mercato del lavoro e a cui viene applicato il meccanismo contributivo per le pensioni, ma sono anche pagati meno. Subiscono tutti gli svantaggi,ma non hanno in cambio neppure un minimo vantaggio salariale. Se non ci fossero le famiglie a sostenerli non potrebbero certo reggere». Un presente da poveri e futuro peggiore. Il direttore dell’Inps disse che non rendeva noto il dato sulle pensioni dei precari perché altrimenti ci sarebbe stata una sommossa.«Oltre all’aliquota contributiva bassa c’è il salario che non solo è basso ma è anche instabile. Vengono colpiti da continue interruzioni, e ogni volta che finisce un contratto ripartono da zero, tornano sempre al via in un infinito gioco dell’oca. Insomma non hanno né un salario dignitoso, né una sicurezza per il domani». Il problema è come se ne esce. Si aumenta il costo orario del lavoro precario rendendolo più alto di quello a tempo indeterminato o si sceglie la flex security?«Io sono per la flex security ma decente. Non finta, non si può guardare solo alla possibilità di licenziare. È un approccio sbagliato al problema. Io ritengo che il posto fisso per tutta la vita come l’abbiamo conosciuto noi non ci sia più. Ma questo non significa non avere uno stipendio che sia in grado di far vivere le persone in maniera dignitosa e non avere una rete di protezione credibile. Invece oggi abbiamo la precarietà e un sistema di protezione sociale legato solo al posto fisso. Un sistema che protegge dall’emergenze, non dal fatto che una persona possa cambiare più di un lavoro nel corso della sua vita e che in questi passaggi possa avere dei momenti di vuoto». Ma io imprenditore perché dovrei assumere una persona se posso utilizzare, risparmiando un bel po’,una persona con finta partita Iva o un contratto precario? Mi costa meno e lo mando via quando voglio.«E evidente che c’è il problema di una imprenditoria italiana che non investe in ricerca e in capitale umano, che ritiene che tutto, anche il lavoratore, sia fungibile. Non a caso il problema delle nostre imprese è la competitività perché la scarsa innovazione nei prodotti deriva proprio dagli scarsi investimenti in ricerca e nelle persone. Ma questa è miopia. Perché è ovvio che se ad esempio un laureato in ingegneria lo pago poco, poi se ne andrà via. L’imprenditoria italiana dovrebbe fare mea culpa. Perché è vero che c’è il problema di collegare la formazione, scuola e università, al mondo del lavoro, ma è anche vero che spesso c’è il sospetto da parte delle imprese verso le persone colte e preparate». In Italia ci sono pochi laureati che però poi sono poco cercati dalle nostre imprese, che preferiscono manodopera non qualificata, e quei pochi assunti sono pure pagati poco. Ma perché succede? «Da una parte perché il nostro sistema imprenditoriale è fatto da tantissime piccole e micro aziende a gestione familiare e poi perché come sistema Paese abbiamo perso grandi imprese in settori, come la chimica, dove fare ricerca e formazione è fondamentale per andare avanti». Quindi non è solo colpa della rigidità del mercato del lavoro se oggi i giovani trovano quasi soltanto lavori precari e mal pagati?«Certo ogni faccia ha sempre due medaglie. Del famoso Libro Bianco del professor Biagi ad esempio è stato realizzato solo un pezzetto, quello della flessibilità, le parti che trattavano la rete di protezione diffusa e la formazione permanente se le sono dimenticate. E alle imprese che hanno ragione a lamentarsi dovrebbe essere chiesto che hanno fatto fin qui oltre a utilizzare al massimo ogni possibilità di flessibilità. Quanto alla politica se è mancato il Governo, anche la sinistra ha perso troppe occasioni». In che senso? «Che è rimasta statica, non ha più guardato alla realtà che cambiava, col risultato che non è riuscita neppure nell’intento di proteggere chi voleva tutelare. Abbiamo perso anni, almeno 15, e il problema è che il Paese nel frattempo ha perso treni che, temo, non passeranno più».
L’Unità 27.11.11