Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sollecitato le forze politiche e il Parlamento a riconsiderare le norme che disciplinano la cittadinanza e, in particolare, quelle norme che non consentono a molti bambini e a molti ragazzi che sono nati e vivono nel nostro Paese di essere (anche formalmente) cittadini. Si tratta di una questione molto seria, anche dal punto di vista costituzionale, che riguarda, oltre
ai bambini, un numero significativo di persone che nel tempo
non è affatto destinato a diminuire, ma semmai a crescere. L’esplosione del fenomeno migratorio ha riproposto in una nuova e inedita versione, pressoché in tutti i Paesi dell’Europa
continentale, una situazione che era tipica dell’ordinamento feudale e cetuale pre-rivoluzione francese: persone che stabilmente convivono e lavorano nello stesso contesto materiale e sociale sono sottoposte a regimi giuridici differenziati, sono diverse di fronte alla legge e non godono degli stessi diritti fondamentali.
Un privilegio di status. Oggi la cittadinanza dei paesi ricchi rappresenta, infatti, per molti aspetti, un vero e proprio “nuovo” privilegio di status: è fattore di esclusione e discriminazione anziché, come all’origine dello Stato nazionale, di inclusione e parificazione. E ciò solleva un problema (anche) di ordine costituzionale.
In conseguenza della mutata realtà sociale, le norme che disciplinano l’acquisto e la perdita della cittadinanza – e che in talmodo strutturano la convivenza sociale e politica, nonché l’appartenenza allo Stato e al popolo (di cui all’articolo 1 della Costituzione) – si pongono in tensione con alcuni principi fondamentali dello Stato costituzionale contemporaneo, quali ad esempio il principio di uguaglianza (nei suoi molteplici profili, a cominciare da quello dell’uguaglianza di fronte alla legge), il principio democratico (inteso come diritto di ogni essere umano di poter prendere parte alla definizione delle leggi che disciplinano la società in cui stabilmente vive e lavora ed alle quali è dunque sottoposto), il principio dell’universalità dei diritti fondamentali (quale riflesso del diritto di ogni persona in quanto essere umano ad una vita dignitosa).
Passato e futuro. Da questi principi discende infatti, in tema di cittadinanza, un principio che potrebbe essere così sintetizzato: tutti coloro che stabilmente vivono e lavorano in Italia e sono dunque sottoposti alla sovranità della Costituzione e delle leggi devono essere (e/o poter diventare) cittadini italiani.
Ad una concezione di tipo “naturale” o “etnico” della cittadinanza, che tende a individuare l’elemento qualificante dell’appartenenza al “popolo” in fattori oggettivi, che trascendono la volontà e che attengono prevalentemente al passato, come la lingua, la discendenza, la religione, la storia, occorrerebbe perciò sostituire (o perlomeno affiancare) una concezione della cittadinanza di tipo “volontaristico” o “elettivo” che tende ad individuare l’elemento qualificante e unificante il popolo (al quale l’articolo 1 della Costituzione riconosce la sovranità), più che nel sangue e nella storia, nella comunanza di idee (intesa come adesione ai principi del pluralismo, dell’uguaglianza e della libertà), di speranze e quindi di futuro. Ciò non significa che si debba affermare un diritto di tutti gli individui ad entrare in Italia e a diventare
cittadini italiani, ma semplicemente che se si è stati ammessi nel nostro territorio – secondo quanto prescrivono le normecostituzionali e di legge sul diritto di asilo e sul diritto di immigrazione – e se la presenza sul territorio ha assunto i caratteri della stabilità e si proietta nel futuro, allora si è altresì titolari di un diritto a far parte della comunità politica e statuale in condizioni di piena uguaglianza.
Le proposte di legge. In questa direzione alcune proposte di legge sono state presentate fin dalla precedente legislatura, prevedendo, ad esempio (vedi la proposta di legge 457, Bressa e altri), che la cittadinanza possa essere acquisita da chi non è figlio di cittadini italiani anche per attribuzione (articolo 4) e per nascita (articolo 1) e non più solo per concessione (discrezionale). La riforma della cittadinanza è
una riforma strutturale e a costo zero, che può contribuire a rendere il nostro Paese non solo più giusto e più unito ma,comehanno osservato molti economisti, più dinamicoed economicamente più solido.
L’Unità 27.11.11