Un piccolo ma importante segnale. Un paio di giorni fa, come faccio usualmente per provare a comprendere l’aria che tira nel Carroccio, ascoltavo l’organo radiofonico della Lega, Radio Padania libera. In uno dei consueti microfoni aperti, telefona un radioascoltatore che, intervenendo sul tema delle riforme su cui si stava dibattendo, sottolinea il fatto che in fondo, nei quasi dieci anni di governo, il partito di Bossi non è mai riuscito a far passare leggi essenziali per il risanamento economico del paese. Un intervento certo un po’ polemico, ma piuttosto tranquillo nei toni e nelle modalità utilizzate. Il conduttore, in preda ad una specie di raptus, inizia da quel momento, e per quasi un minuto, ad insultare l’ascoltatore tacciandolo di comunismo, di imbecillità, di provocazioni gratuite.
Invitandolo infine ad evitare di richiamare la radio nei mesi e negli anni a venire. Perché (sua frase testuale) «in questa emittente non c’è libertà di parola». Un po’ allibito ripenso a quello che accadeva fino a poche settimane fa: allora a Radio Padania si intrecciavano elogi e appoggi all’azione leghista con interventi più o meno polemici contro Berlusconi, a volte contro un comportamento troppo permissivo del partito nei suoi confronti, spesso per richiamare il movimento padano a misure maggiormente in linea con i desideri federalisti della base. Il simbolo evidente di un certo dibattito tra gli ascoltatori e tra gli elettori sulla linea governativa e di opposizione da seguire.
Oggi qualcosa è cambiato. E la radio si è trasformata in una specie di organo politico, quasi fossimo nell’ex Unione Sovietica, dove sono ammesse unicamente telefonate favorevoli al nuovo ruolo che la Lega si sta ritagliando nell’attuale panorama politico. Un ruolo che, però, non pare essere facilmente digerito dalla base. Nei più recenti sondaggi, infatti, il partito di Bossi ha continuato quella china discendente nella quota di orientamenti di voto a lui favorevoli.
Già negli ultimi mesi di governo, molti simpatizzanti leghisti si erano distaccati, delusi dai comportamenti troppo distanti da quell’azione politica e di comunicazione che, nei due anni precedenti, avevano convinto a volte anche l’elettorato più distante. Un’emorragia di voti sia virtuali che reali, nelle amministrative di primavera, che avevano ridotto il livello di consensi sotto la quota del 10 per cento. Oggi la Lega è stimata ancora più in basso, vicina all’8 per cento, quanto il movimento padano aveva ottenuto nel 2008. E con possibili ulteriori smottamenti, se l’azione di opposizione perdurasse e si inasprisse.
Sì, perché anche se i vertici leghisti e i loro organi di stampa non si stancano di vituperare la (futura) azione del nuovo governo, gli stessi elettori non paiono essere dello stesso avviso. La metà circa di coloro che ancor oggi voterebbe Lega esprime infatti un giudizio positivo, almeno preventivo, sull’esecutivo presieduto da Monti. Le aspettative sono che il suo intervento di risanamento riesca a risollevare l’Italia in generale, ed il nord in particolare, da quell’incubo economico che si sta diffondendo nel paese. E lo stesso livello di fiducia in Monti è molto simile, coinvolgendo più della metà di chi si professa leghista.
Le conseguenze della posizione dell’attuale dirigenza della Lega, che si scontra in maniera per ora sotterranea con alcuni dei suoi esponenti (come Roberto Maroni o Flavio Tosi), potrebbe far tornare l’appeal del partito a numeri vicini a quelli di un tempo, il 4-5 per cento. Rimarrà attaccato solo il nocciolo duro (quello alla Borghezio, per intenderci); ma tutti gli altri simpatizzanti, conquistati dalla capacità leghista di comprendere gli umori e i desideri della popolazione, stanno già invertendo la propria rotta, abbandonando la nave. E i primi ad andarsene sono proprio quelli che apprezzano lo sforzo di Monti per scongiurare la crisi, quote significative di piccoli imprenditori e commercianti che sanno che il risanamento personale non può che essere collegato a quello del paese.
da Europa Quotidiano 26.11.11