Ricordo un detto di quando ero ragazza in Cile, quien te quiere te aporrea, chi ti ama ti picchia. E il commento di una donna: «E’ così che vanno le cose». Oggi che le società sono divenute più giuste, democratiche ed egualitarie, cresce la consapevolezza che la violenza contro le donne non sia accettabile né inevitabile. Una violenza che è sempre più considerata e condannata per quello che è: una violazione dei diritti umani, una minaccia a democrazia, pace e sicurezza, un fardello pesante per le economie nazionali.
Oggi celebriamo la Giornata internazionale per porre fine alla violenza contro le donne. Traiamo orgoglio dal progresso fatto nel corso degli ultimi decenni. Centoventicinque Stati hanno oggi leggi specifiche che penalizzano la violenza domestica, un considerevole passo avanti rispetto a solamente un decennio fa. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adesso riconosce la violenza sessuale come una deliberata tattica di guerra. E significativi passi avanti nel diritto internazionale hanno reso possibile, per la prima volta, perseguire crimini di violenza sessuale durante e dopo un conflitto.
Ma non dimentichiamolo: le speranze di una vita libera da discriminazione e violenza sono ben lungi dall’essere realizzate. Complessivamente, seicentotré milioni di donne vivono in paesi nei quali la violenza domestica non è ancora considerata un crimine. La violenza sessuale continua a dilagare in tempo di pace e di guerra ed esige un pedaggio di vite femminili troppo elevato. Al mondo, fino a sei donne su dieci hanno sofferto violenza fisica e/o sessuale nel corso della loro vita. Oltre sessanta milioni di ragazze sono spose bambine, e tra 100 e 140 milioni di ragazze e donne hanno sperimentato la mutilazione genitale femminile. Ancora: più di cento milioni di ragazze risultano «mancanti» a causa delle selezione di genere prenatale e della preferenza per i figli maschi. E oltre seicentomila donne e ragazze sono oggetto di traffico interfrontaliero ogni anno, la maggior parte delle quali per sfruttamento sessuale.
La violenza contro le donne rimane una delle violazioni dei diritti umani maggiormente diffuse ma al tempo stesso uno dei crimini meno perseguiti. Sebbene l’uguaglianza tra donne e uomini sia garantita dalle Costituzioni di 139 Paesi e territori, troppo spesso alle donne vengono negate giustizia e protezione dalla violenza. E’ un fallimento che non deriva da mancanza di conoscenza; si tratta piuttosto di un vuoto di investimenti e volontà politica per venire incontro ai bisogni delle donne e tutelarne i diritti fondamentali. E’ ora che i governi si assumano le proprie responsabilità.
Guardiamo dunque avanti. Ho proposto un’agenda in sedici punti concreti per un’azione decisiva volta a prevenire, proteggere e fornire servizi essenziali per porre fine alla violenza contro le donne. Tutelare le nostre madri, sorelle e figlie richiede capacità di comando e risorse sufficienti, leggi efficaci e azione giudiziaria nei confronti degli autori di tali crimini per mettere fine alla loro impunità. Decisivo per il successo di tale azione è il forte impegno di uomini e ragazzi come partner a eguale titolo, che prendano una posizione di tolleranza zero nei confronti della violenza contro le donne. Violenza che si può prevenire cambiando le norme attraverso educazione e campagne di sensibilizzazione pubblica, coinvolgendo adolescenti e giovani come agenti di cambiamento e promuovendo l’accrescimento di prerogative e ruoli guida di donne e ragazze. Occorre inoltre con urgenza fornire a donne e ragazze superstiti il sostegno e i servizi che meritano e richiedono.
UN Women si è posta alla testa di un’iniziativa globale che dia a donne e ragazze accesso universale al sostegno che si rivela critico in situazioni di violenza. Come condizione minima, le loro emergenze, i loro bisogni immediati dovrebbero trovare risposta in servizi di supporto in linea accessibili ventiquattro ore al giorno; interventi tempestivi per garantirne sicurezza e tutela; consulenza e sostegno psicologico e sociale; aiuto legale gratuito per spiegare loro diritti, opzioni e accesso alla giustizia.
Insieme a partner in tutto il mondo, UN Women è al lavoro per dare attuazione alla promessa contenuta nello Statuto delle Nazioni Unite di uguali diritti di uomini e donne. In un’opera che aggrega l’intero sistema Onu, la campagna del Segretario Generale «UNiTE to End Violence Against Women» accresce la consapevolezza generale e mobilita Stati, comunità e individui per un’azione che sia volta a terminare questa massiccia e sistematica violazione dei diritti umani.
Il Fondo fiduciario delle Nazioni Unite per porre fine alla violenza contro le donne supporta gruppi locali e sostiene strategie innovative, salvando vite e aiutando a mettere fine a indifferenza, disuguaglianza e impunità, che permettono alla violenza di continuare.
Per celebrare il 15˚ anniversario, quest’anno, del Fondo fiduciario, invito dunque i partner a contribuire al Fondo per far fronte a bisogni non ancora soddisfatti in tutto il mondo.
La violenza contro le donne non è solamente una questione per donne. Essa svilisce ognuno di noi. Occorre così essere uniti per porle fine. Una volta insieme, prendendo posizione contro questa violenza, faremo un passo decisivo verso pace, giustizia e uguaglianza.
*Direttore Esecutivo di UN Women
La Stampa 25.11.11
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“Violenza alle donne. Fermiamola ora!”, di Stefano Vecchia
Il 25 novembre 1960, nella Repubblica Dominicana, sicari mandati dall’allora dittatore Rafaél Trujillo tendevano un agguato alle quattro sorelle Mirabal, attiviste politiche, uccidendone tre. Per ricordare questo evento – dal significato simbolico perché prima azione del genere ad essere portata all’attenzione internazionale e a provocare una reazione di opposizione alla dittatura, che doveva culminare l’anno successivo con l’assassinio di Trujillo – il 17 dicembre 1999 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite dichiarava il 25 novembre di ogni anno «Giornata internazionale per fermare la violenza contro la donna».
La ricorrenza, ovviamente, guarda ben oltre le difficoltà delle donne impegnate a combattere contro violazioni dei diritti umani e civili, dittature o regimi liberticidi. La “galassia” della violenza verso le donne è vasta e diversificata, e sovente continua a “sfumare” in tristi tradizioni, abitudini, leggi opportunamente incentivate per fini di controllo, economici o religiosi.
Quella che nelle sue varie forme interessa la donna è una delle maggiori violazioni dei diritti umani e include abusi di carattere fisico, sessuale, psicologico ed economico e risulta trasversale a razza, cultura, benessere, collocazione geografica ed età. Può essere localizzata nelle case, per le strade, nelle scuole, sul luogo di lavoro, nelle campagne come nelle città, in campi profughi, in situazioni di pace, conflitto o crisi. Ha aspetti pubblici: stupri etnici, persecuzione religiosa, repressione politica; ma anche privati: violenza domestica, abusi sessuali, controllo forzato delle nascite e selezione sessuale, omicidi d’onore…
Strumento primo di garanzia internazionale è la Dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro la donna del 1993, che ha portato molti Paesi ad adeguare le legislazioni nazionali. Dallo scorso maggio è aperto alla firma dei Paesi aderenti al Consiglio d’Europa la Convenzione sulla prevenzione e lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, che finora ha raccolto 17 adesioni. Ovviamente, lo strumento legislativo o le libere adesioni a trattati e convenzioni non garantiscono di per sé una tutela, soprattutto nelle aree meno favorite del pianeta, ma anche in ambiti insospettati dei Paesi ricchi.
A livello planetario, sei donne su dieci sperimentano nella loro vita una forma di violenza fisica o sessuale. Per evidenziare casi estremi, uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità ha mostrato come la violenza sessuale da parte del partner sia ancora presente nel 71 per cento delle famiglie della campagna etiope contro il 15 per cento del Giappone urbano. Nella maggior parte del mondo globalizzato, la violenza rappresenta per le donne dai 16 ai 44 anni la prima causa di morte o disabilità, con costi altissimi e non solo nei Paesi in via di sviluppo.
Un rapporto del 2003 del Centro statunitense per il controllo e la prevenzione delle malattie mostrava che nei soli Stati Uniti il costo della violenza domestica superava 5,8 miliardi di dollari l’anno, di cui 1 miliardo per cure mediche e 1,8 come conseguenza dall’assenza forzata dal posto di lavoro.
Non mancano però i progressi.
Nel mondo, sono un centinaio i Paesi che riconoscono e sanzionano la violenza domestica, meno quelli che adottano provvedimenti conseguenti. Lo stupro da parte del coniuge è riconosciuto come reato in 104 Stati e una novantina hanno leggi che colpiscono le molestie sessuali. Complessivamente, però, poco oltre la metà del mondo riconosce oggi la discriminazione della popolazione femminile come un problema da denunciare e perseguire.
La recessione mondiale ha ridotto reddito e opportunità nei Paesi più poveri, con un conseguente aumento dello sfruttamento e della violenza sulla componente femminile, ma anche esponendo a ulteriori abusi quante lavorano o risiedono all’estero, inclusi Europa e Medio Oriente.
Avvenire 25.11.11