Se la prima missione di Mario Monti era quella di restaurare l’immagine e la credibilità dell’Italia in Europa, si deve dire che l’obiettivo è stato raggiunto in pieno. Anche sul piano mediatico. Quella foto che ritrae insieme i tre, Angela Merkel, Sarkozy e appunto Monti, ha un valore simbolico che nessuno può sottovalutare. Allo stesso modo, ascoltare il neo-premier mentre rimbrotta Francia e Germania per avere dato a suo tempo il cattivo esempio, violando il patto di stabilità («con la complicità del governo italiano che presiedeva l’Ecofin» aggiunge Monti e la data è il 2003), fa un certo effetto. Continua u pagina 24
È la prova evidente della personale autorevolezza del presidente del Consiglio, figlia della sua lunga storia in Europa.
Del resto, la fiducia di Berlino e Parigi verso il nuovo interlocutore che arriva da Roma (e verso la serietà degli impegni da lui ribaditi) è palese. L’attenzione con cui viene ascoltato il suo punto di vista è quasi ostentata. Tutto questo non significa che il vertice sia stato un successo. Da un lato, la Merkel non mitiga la sua intransigenza; dall’altro, Sarkozy lascia filtrare sul “Monde” una profonda irritazione. Se i mercati finanziari speravano in qualche risultato concreto, dovranno attendere tempi migliori.
Ma tutto questo per l’Italia è solo un aspetto del problema. Il punto cruciale, e oggi prioritario, è che l’isolamento è finito, la fiducia riconquistata. Qui però si affaccia un problema di cui il presidente del Consiglio dovrà tener conto perché rappresenta una non trascurabile insidia per il suo governo. È pericoloso che si apra una forbice fra Europa e Italia. Fra i temi di cui il premier discute negli incontri con i partner, ottenendo rispetto e incoraggiamento, e l’agenda del Parlamento a Roma: due momenti tra i quali non dovrebbe esistere una cesura, o un vistoso sfasamento temporale.
Non bisogna mai dimenticare, in altre parole, che le Camere, espressione della volontà politica, hanno accettato più o meno di buon grado l’anomalia del governo dei tecnici in nome dell’emergenza e dell’interesse generale. Ma guai a farle sentire marginali e magari un po’ superflue. Si dirà che questo Parlamento non ha mai avuto molto da fare durante il triennio di Berlusconi, né risulta che si sia troppo lamentato. Ma ora il quadro è totalmente mutato e la suscettibilità è dietro l’angolo. Tanto è vero che lo stesso Monti ha sentito il bisogno, appena tre giorni fa, di insistere sulla «centralità» della funzione parlamentare, definendo poi con Fini e Schifani una corsia veloce per i provvedimenti.
Ieri, quando la Merkel si è detta «impressionata» dal piano di riforme esposto dal premier italiano, qualcuno a Roma si è risentito. In serata la questione è stata ridimensionata. Monti ha fatto sapere di non aver detto niente a Strasburgo che non fosse già noto a Roma. E la cancelliera ha diffuso l’interpretazione esatta – e corretta – delle sue parole. In sostanza, niente di grave.
Tuttavia l’episodio dimostra che si cammina su una lastra di ghiaccio non solidissima. Nessuno nei palazzi romani, a cominciare da Berlusconi, ha voglia di creare difficoltà al governo finché la crisi europea resta drammatica e ci sono da collocare, entro pochi mesi, oltre cento miliardi di Bot su un mercato nervoso e recalcitrante. Tuttavia le forme vanno rispettate, come peraltro Monti ha fatto in questi giorni. Il Parlamento va al più presto coinvolto perché resta il crocevia dove l’esecutivo «tecnico» trova la sua legittimità ed è bene evitare anche solo l’impressione che si voglia procedere con la politica dei «fatti compiuti».
La stessa questione irrisolta dei sottosegretari va collocata su questo sfondo. Prima si faranno le nomine, scegliendo fra i tecnici di area, cioè graditi ai partiti, meglio sarà. Per la buona ragione che spetterà proprio ai sottosegretari quel ruolo di raccordo fra governo e Parlamento che appare ogni giorno più necessario.
Il Sole 24 ore 25.11.11