attualità, politica italiana

"La doppia scommessa del Professore", di Andrea Bonanni

Mario Monti è tornato a Bruxelles, là dove si è coniata l´immagine di statista super partes che gli vale la guida del governo, con due obiettivi. Il primo è misurare, in tempo e denaro, quanto vale per il Paese l´apertura di credito personale delle autorità europee.
La seconda è di togliere l´Italia dalla gabbia degli imputati in cui l´avevano relegata le anomalie berlusconiane, e allo stesso tempo di trovare un supporto comunitario per il ruolo propulsore che egli intende riconquistare sulla scena europea.
La prima scommessa appare più difficile della seconda. è vero che non si ricorda un governo, non solo italiano ma di qualsiasi altro stato membro dell´Unione, che sia stato accolto alla sua nascita da espressioni così aperte e unanimi di entusiasmo e di sollievo da parte dell´Europa. Ma è anche vero che a Bruxelles vige una netta e pragmatica distinzione tra sentimenti e giudizi. I primi possono essere soggettivi; i secondi devono e vogliono essere oggettivi.
Per godere di credito in Europa, il Professore deve quindi offrire garanzie precise. E infatti, al di là dell´ammirazione personale per le qualità umane e politiche del nuovo premier, al di là della soddisfazione per l´uscita di scena di una personalità imbarazzante e inaffidabile come Silvio Berlusconi, il vero valore aggiunto del nuovo governo italiano, agli occhi di Bruxelles, è proprio la larghissima maggioranza di cui gode in Parlamento e il vasto consenso che gli attribuisce l´opinione pubblica. Segno, si immaginano in Europa, che esiste un convinto sostegno bipartisan nel Paese alle riforme profonde e in parte dolorose che Monti ha promesso di fare.
La partita che il nuovo capo del governo è venuto a giocarsi a Bruxelles è stata proprio questa: spiegare ai suoi interlocutori quanto delicato, se non fragile, sia questo sostegno. E come egli intenda mantenerlo e rafforzarlo varando “pacchetti” di riforme che premino e colpiscano in egual misura gli interessi politici ed economici della destra e della sinistra. Per farlo, però, non potrà spingere troppo l´acceleratore sul risanamento dei conti pubblici senza compensare i tagli e le tasse con misure espansive che ridiano fiato a un´economia stagnante.
È un discorso che l´Europa capisce bene, tanto è vero che per tutti i tre anni di governo Berlusconi ha insistito inutilmente sulle liberalizzazioni e le riforme necessarie per la crescita. Ma questo vuole anche dire che Bruxelles dovrà aprire una linea di credito politico al Professore, accettando che il risanamento dei conti non vada oltre i parametri promessi (ma non mantenuti) da Berlusconi-Tremonti in cambio di un impegno onesto a profonde riforme strutturali che svecchino il Paese e lo riportino a crescere.
La seconda scommessa appariva più facile, ieri, vista da Bruxelles. Ma risulterà più difficile, domani, al vertice italo-franco-tedesco di Strasburgo. L´uscita di scena di Berlusconi e dei suoi ministri, spesso assenti, spesso imbarazzanti, ha di per sé riportato l´Italia in Europa ponendo fine a una lunga e silenziosa quarantena. Ma Monti sa benissimo che questo non è sufficiente. Negli ultimi anni l´architettura europea è cambiata profondamente. Anche a causa dell´emarginazione dell´Italia, e del crescente allontanamento britannico, è emerso un duopolio franco-tedesco che maschera a stento una totale egemonia germanica.
Se l´Italia vuole ritornare a sedersi tra i grandi d´Europa, deve dunque ritagliarsi un ruolo politico. E quale sia questo ruolo, Monti lo ha detto ieri con chiarezza: tornare a farsi campione di una maggiore integrazione comunitaria ritrovando un equilibrio tra le tentazioni egemoniche della Germania e le deviazioni intergovernative della Francia. Su questo fronte, ieri, il Professore ha trovato un alleato entusiasta nel presidente della Commissione, Barroso, umiliato da anni di duopolio franco-tedesco. E troverà sostegni altrettanto convinti nel Parlamento europeo e nella Banca centrale di Francoforte. Ma superare il muro delle diffidenze franco-tedesche non sarà facile. Fare accettare l´Italia come terzo interlocutore stabile nel duetto ineguale tra Parigi e Berlino sarebbe un vero miracolo politico. Eppure in questo miracolo Mario Monti crede fermamente.
In questa missione impossibile, due fattori interni alla coppia franco-tedesca giocano a suo favore. Da una parte Sarkozy, alla guida di una Francia sempre più in difficoltà, si rende conto che da solo non è in grado di smuovere la Merkel dalle sue barricate di principio che rischiano di affondare Parigi, l´euro e l´Europa. Dall´altro la Cancelliera sta prendendo coscienza che due anni di veti e di resistenze ostinate rischiano di saldarsi in un bilancio disastroso per lei stessa e per la Germania. Se il contagio finanziario dovesse travolgere anche la Francia, Angela Merkel passerebbe alla storia come la donna che ha affossato l´Europa sull´altare dei sondaggi d´opinione tedeschi. Entrambi, dunque, hanno bisogno di una via di uscita che permetta di rompere uno stallo durato troppo a lungo. Se Mario Monti saprà indicargliela, sarà interesse di entrambi allargare all´Italia un duopolio ormai insostenibile. E così “Supermario”, dopo aver posto termine al lungo letargo italiano, potrebbe suonare la sveglia anche per un´Europa che, peraltro, la attende da tempo.

La Repubblica 23.11.11

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“Quattro ingredienti per la stabilità”, di Franco Bruni

Gli incontri europei di Monti riprendono, dopo il cambio di governo, il dialogo con gli organi comunitari sull’aggiustamento dell’economia italiana. L’Europa considera credibile che il nuovo clima politico del nostro Paese renda l’aggiustamento più incisivo. Ma l’opportunità di Monti è anche quella di contribuire a disincagliare il governo economico comunitario da una leadership franco-tedesca che non è efficace, perché Merkel e Sarkozy vanno poco d’accordo e puntellano con la visibilità europea le rispettive debolezze politiche nei loro Paesi.

Il duplice fine di questi giorni europei si adatta alla duplice veste del primo ministro di uno dei Paesi membri che deve fare un maggior sforzo di aggiustamento, il quale è anche una persona che da tempo ha la reputazione e l’esperienza di un protagonista delle istituzioni comunitarie e della loro evoluzione. Ed è duplice anche lo sforzo perché l’Europa riprenda stabilità e crescita: quello dei singoli Paesi membri «per riordinare la propria casa» e l’azione dell’Ue che li stimola e li aiuta.

Sul riordino della casa italiana il governo farà presto sapere le sue prime mosse. Su quello che deve fare l’Ue il dibattito è intenso e controverso. Ma ora è tempo di concluderlo: non si può più improvvisare per tamponare le urgenze della crisi. Lo si è fatto troppo, bisticciando e ottenendo risultati opachi e precari, puniti dai mercati. Ora la guerra all’ emergenza va combattuta facendo convergere l’Unione su buone decisioni di lungo periodo. Vanno distribuiti con chiarezza compiti e responsabilità per mantenere la stabilità finanziaria in Europa. In presenza di decisioni politiche nitide e credibili i mercati sono disposti a una tregua, sono disposti a concedere il tempo perché esse vengano realizzate, compreso il tempo necessario per eventuali modifiche dei Trattati.

Passi importanti sono già stati fatti: abbiamo nuove autorità di vigilanza finanziaria comunitarie, ma vanno potenziate; abbiamo nuove regole per disciplinare le finanze pubbliche e altri aspetti delle macroeconomie dei Paesi membri, ma per applicarle davvero occorre prima domare l’emergenza. E’ il momento di concentrarsi su decisioni durature per ottenere la stabilità finanziaria in un’ area dove ci sono rischi di illiquidità e insolvenza anche per i titoli di Stato.

Credo che la ricetta abbia quattro ingredienti, tutti indispensabili in certe dosi. Il primo è l’autodisciplina e l’aggiustamento finanziario delle singole economie nazionali, coordinate con forza dal centro dell’ Ue. Ma occorre tempo per aggiustare gli squilibri in modo duraturo, strutturale, socialmente e politicamente sopportabile. Poiché i mercati sono spesso impazienti, ci vuole allora il secondo ingrediente: va dato tempo agli aggiustamenti fornendo finanziamenti comunitari. Che devono essere di due tipi, ben distinti: supporto di breve termine da parte della Bce e di medio-lungo termine da parte di un meccanismo comunitario che veda l’impegno congiunto e solidale di un ammontare adeguato di fondi da parte dei governi nazionali. Chi vuole che sia la sola Bce ad assicurare supporti illimitati, anche oltre il breve termine, sta proponendo di sconvolgere la costituzione monetaria dell’eurozona. E’ sperabile che l’intervento di Monti possa indebolire queste posizioni.

Finanziare gli squilibri, a breve e a medio termine, non significa abolire la disciplina con cui i mercati speculano contro i Paesi squilibrati. Significa anzi esaltare la funzione dei mercati, evitando che si esprimano in modi violenti e controproducenti. Quanto all’impegno solidale di fondi governativi a medio-lungo termine, esso può assumere forme tecniche diverse, comprese le varie possibili versioni dei cosiddetti eurobond. Ma quel che conta è la sostanza politica dell’impegno solidale a finanziare, in misura limitata ma sopportando i rischi che ne derivano, gli aggiustamenti graduali dei Paesi in difficoltà, per la semplice ragione che il loro buon fine è interesse collettivo dell’Europa. L’introduzione esplicita del principio di una pur limitata solidarietà finanziaria europea è quindi il terzo ingrediente della ricetta: vanno convinti soprattutto i tedeschi e Monti può aiutare.

Il quarto ingrediente è la disponibilità, in caso di insufficienza dei tre ingredienti precedenti, di una procedura per gestire il «fallimento» dei governi indebitati in modo insostenibile e incorreggibile, cioè per ristrutturare il loro debito pubblico mettendo una parte del costo dell’aggiustamento dei Paesi in difficoltà a carico di chi ha investito nei loro titoli. L’ammettere che ci possano essere dei fallimenti governativi, ben gestiti e controllati, stimola la disciplina finanziaria e crea meno panico che l’insistere nel negarlo di fronte alla diffusissima convinzione che il parziale fallimento è a volte inevitabile. Questo ingrediente è già stato, in linea di principio, approvato dal Consiglio europeo in luglio. Ciononostante, è difficile da introdurre nella ricetta, perché porta con sé anche la necessità di rivedere le procedure di insolvenza delle banche, che detengono molti titoli governativi, e perché fra i nemici di questo ingrediente c’è stata a lungo la Bce. Ma dobbiamo augurarci che i prossimi colloqui europei riprendano il tema. Le regole per il «default controllato» dei debitori sovrani servono anche a difendere l’indipendenza della Bce evitando che, per escludere del tutto il rischio di insolvenza dei governi, essa venga obbligata a sostituirsi a loro come debitore di ultima istanza.

La Stampa 23.11.11