La prima imprevedibile emergenza di Mario Monti si chiama Finmeccanica. I fatti che stanno emergendo in queste ore ci offrono un quadro sconcertante nel quale le aziende pubbliche sono state utilizzate alla stregua di un bancomat da politici, faccendieri e affaristi senza scrupoli, grazie alla complicità di amministratori che definire spregiudicati sarebbe assai riduttivo. Prova ulteriore che l’epoca di Tangentopoli non si è mai chiusa e che il cancro della corruzione continua a corrodere le fondamenta morali del Paese, i conti pubblici e la nostra credibilità internazionale.
Le grandi imprese italiane con un ruolo e un peso sullo scenario mondiale si contano sulle dita di una mano. Finmeccanica è una di queste. Azionisti del gruppo ancora controllato al 30% dal Tesoro sono alcune fra le principali istituzioni finanziarie planetarie, i fondi d’investimento inglesi e americani, alcuni governi. Il suo capo storico Fabiano Fabiani ne rivendicava già quindici anni fa il primato fra le imprese manifatturiere nazionali. Ma oggi la Finmeccanica è anche qualcosa di più: per l’industria italiana rappresenta un patrimonio tecnologico unico. Guai a perderla. Purtroppo la sua situazione, ben al di là dei presunti fondi neri e delle vicende che dovranno chiarire i magistrati, oggi non è facile. La Finmeccanica ha un indebitamento elevatissimo, causato da alcuni investimenti pagati carissimi. È il caso dell’acquisizione della Drs tech, gruppo statunitense dell’elettronica. Il suo costo, quasi 4 miliardi di euro: cifra che comprende anche una provvigione stratosferica per il «mediatore» Lorenzo Cola. L’ex consulente della Finmeccanica, che sta ora vuotando il sacco sui fondi neri e le tangenti ai politici, intascò per quell’affare concluso nel 2008 qualcosa come 11 milioni di euro. Un affare, si capì subito, che presentava molti problemi, al di là del prezzo astronomico pagato, con un premio del 32% sulle quotazioni di borsa.
Dettaglio non trascurabile, alcune divisioni della Drs lavorano per l’intelligence americana. E il contratto d’acquisto prevede che quelle parti dell’azienda restino «secretate» perfino all’azionista italiano. Che ci deve mettere i soldi ma non può metterci la bocca. Ragion per cui il nuovo amministratore delegato Giuseppe Orsi è volato negli Stati Uniti nel tentativo di convincere gli americani ad accettare un divorzio parziale.
Le condizioni finanziarie della Finmeccanica sono rese ancora più pesanti dallo stato di cose in cui versano altre parti del gruppo. Da anni le perdite dell’Ansaldo Breda viaggiano al ritmo di un centinaio di milioni l’anno: nonostante questo la presidenza del Consiglio avrebbe voluto far acquistare alla Finmeccanica la Firema, azienda privata produttrice di componenti ferroviarie. Un tentativo comunque fallito. Orsi vorrebbe cedere l’Ansaldo Breda: impresa però difficile, a patto di non mettere sul piatto anche qualche pezzo buono, come l’Ansaldo Sts.
Poi c’è il caso dell’Alenia aeronautica. Basta dire che è stato necessario accantonare nei bilanci 783 milioni di euro in seguito a una «conciliazione» con la Boeing, che aveva contestato la qualità di alcune forniture provenienti dagli stabilimenti italiani e destinate a equipaggiare gli aerei civili della casa americana.A questo si aggiungano i problemi di liquidità della Grecia, impossibilitata a far fronte ai pagamenti degli aerei C27J già ordinati all’Alenia, nonché alcune questioni sorte con la Turchia a proposito di alcuni pattugliatori marini, e il quadro è completo. A quanto ammonta il buco? Difficile dire, ma c’è chi ipotizza una cifra non inferiore al miliardo 200 milioni. Pure per ragioni politiche e «sociali», la struttura produttiva dell’Alenia è troppo frammentata e disordinata, il che ha reso necessario un piano di riorganizzazione destinato a lasciare molti segni. Piano nel quale, tuttavia, ha trovato spazio anche l’incomprensibile trasferimento della sede legale (dovuto a ragioni politiche), da Napoli a Venegono Superiore in provincia di Varese: quartier generale della Lega Nord, partito che ha fortemente sostenuto la nomina di Orsi.
Altrettanto disordinato è il comparto dell’elettronica. E veniamo alle vicende che più direttamente riguardano la famiglia Guarguaglini. Il gruppo Selex è composto da tre diverse aziende, con produzioni in qualche caso simili e che talvolta si fanno perfino concorrenza fra loro sui mercati internazionali. Da tempo circola l’idea di fonderle, operazione che avrebbe forse il vantaggio di razionalizzare il tutto ma contemporaneamente lo svantaggio di far sparire la Selex Sistemi integrati, azienda ora al centro delle indagini giudiziarie, e della quale è amministratore delegato Marina Grossi, la moglie di Guarguaglini. Il quale si è sempre opposto all’accorpamento.
Non è quindi un caso che la fusione delle tre Selex sia la ragione dei contrasti fra lo stesso Guarguaglini e Orsi. All’ultimo consiglio, con all’ordine del giorno quella integrazione proposta dall’ostinato Orsi, Guarguaglini non si è nemmeno presentato. E il progetto è passato all’unanimità. Decretando, forse, la fine di un’epoca.
La Finmeccanica è troppo importante perché interessi personali possano bloccare una svolta radicale. Si deve fare pulizia e subito, illuminando fino in fondo gli angoli ancora bui ed eliminando tutte le scorie della politica. Questo è compito del governo, che deve agire senza indugi: nell’interesse della società e del Paese. A Guarguaglini va dato atto che se la Finmeccanica è diventata, con tutti i suoi difetti, un gruppo di eccellenza tecnologica, questo è anche merito suo. Ma ciò non può cancellare responsabilità oggettive e pesanti. E il braccio di ferro privato che ha ingaggiato con il governo, annunciando di voler resistere, a questo punto non può che danneggiare l’azienda.
Dai partiti, invece, ci aspettiamo un sussulto di dignità. Adesso tirino fuori il disegno di legge anticorruzione dai cassetti nei quali giace. Il governo di Silvio Berlusconi l’aveva annunciato in pompa magna il primo marzo del 2010 subito dopo lo scoppio di uno dei vari scandali, quello degli appalti dei Grandi eventi della Protezione civile. Dopo la prima lettura si è incagliato in Parlamento, mentre le Camere sfornavano leggi per regolamentare la commercializzazione dell’insalata in busta o per cambiare il nome al parco del Cilento. Va approvato in fretta, introducendo norme severissime per gli amministratori infedeli e i politici corrotti, prevedendo, oltre a sanzioni penali durissime senza il beneficio della condizionale, anche la loro radiazione dalla vita pubblica.
Insieme al taglio dei costi insensati della politica è la cosa più urgente da fare se si vuole restituire un minimo di credibilità a un sistema che la sta perdendo del tutto.
Il Corriere della Sera 23.11.11