La nuova fase è definitivamente cominciata. Ora il governo Monti è nel pieno dei suoi poteri e il suo abbrivio è accompagnato da un livello di legittimazione altissimo. A livello europeo e internazionale sono giunti subito attestati di stima e di fiducia. L’asse istituzionale con il Presidente Napolitano è determinante e da tempo non si assisteva a una così forte reciprocità fra le più alte cariche dello Stato.
L’appoggio ottenuto dalle votazioni parlamentari alla sua fiducia è stato ampio, al limite dell’unanimità di bulgara memoria. Il consenso presso la popolazione rilevato dai sondaggi è crescente e largamente maggioritario. Non è ancora chiaro quali sono le misure effettive che saranno messe in atto per cercare la ripartenza dell’economia, ma il solo fatto che si sia attenuata la bufera finanziaria sull’Italia appare già un primo risultato importante. Dopo un lungo periodo di malessere e di rissosità, più che nella sospensione della democrazia (come qualche esponente politico a «responsabilità limitata» ha scritto), siamo entrati in una fase di moratoria, una sorta di tregua. Una coesione reciprocamente guardinga, ma necessaria a placare gli animi e a ritrovare quel minimo di coesione necessario per varare alcune riforme fondamentali per ridare propellente al motore dell’economia. Ma durerà questa pax montiana? E fino a quando? Una risposta a tale quesito non è dato sapere, forse giusto il tempo di arrivare nelle aule parlamentari con i primi provvedimenti. Seguendo i dibattiti televisivi, le asperità non sono del tutto placate e ciò non a ben sperare. Quello che appare evidente è che già prima venisse varato il nuovo esecutivo, gli schieramenti politici avevano avviato le congetture elettorali. Perché l’esecutivo tecnico consentirà ai partiti di predisporsi alle prossime scadenze (elezioni politiche e del Presidente della Repubblica) con una relativa calma, lasciando al governo Monti l’onere di proporre e realizzare le riforme.
Il problema vero non è tanto legato alla durata di questo esecutivo, quanto a fino a quando gli schieramenti che oggi sostengono l’esecutivo saranno in grado di serrare i ranghi sui provvedimenti che giungeranno al vaglio del Parlamento. Perché l’avvento del nuovo esecutivo ha provocato uno smottamento e una ricomposizione all’interno degli schieramenti. Con il Pdl alle prese con una propria ricostruzione, con esponenti scontenti emigrati verso lidi centristi. Con la Lega momentaneamente ritirata sopra il Po, ma dibattuta e divisa al suo interno sulle strategie da seguire e alla ricerca di una ricomposizione con il suo elettorato deluso. Con un polo centrista che ha trovato nell’Udc di Casini un player strategico, ma che rischia di rompere gli equilibri con Fini e Rutelli. Senza contare l’ipotetico ingresso di Montezemolo nell’agone politico. Ma anche a centrosinistra le acque non sono meno agitate (ma non è una novità) al suo interno, ma anche con i presunti alleati. Le virate dell’Italia dei valori, piuttosto che le prese di distanza di Vendola sul governo Monti, fanno presagire di qui alla scadenza elettorale un percorso irto di insidie per il Pd di Bersani.
Lo scenario politico si è nuovamente rimesso in moto, dopo una lunga ingessatura. E costituirà un’insidia in più per Monti, che potrà sicuramente contare sull’opera di moral suasion del Presidente Napolitano e delle istituzioni europee, ma dovrà costruire un asse privilegiato e di forte coesione con gli attori economici e sociali se vorrà disporre di un’azione di lobby e di pressione sulla politica affinché le riforme possano essere realizzate.
*Università di Padova
La Stampa 22.11.11