Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”. Questa volta hanno fatto un effetto particolare le parole della cerimonia del giuramento del nuovo governo.
Attribuisco a chi ha pronunciato quella formula solenne e densa, a prescindere, altra intenzionalità, altra consapevolezza, altra motivazione, dopo lo scempio degli ultimi anni. Ho idea che la gravità del momento, le specifiche competenze professionali nel settore di destinazione e il non diretto coinvolgimento nella farsa politica degli ultimi 15 anni – con il senso di lontananza e di disgusto che hanno lasciato in molti cittadini – abbiano potuto implicare un’adesione più concreta, profonda, etica a quelle parole.
Non ho formule in tasca, certezze granitiche da esibire, pregiudizi da urlare in via preliminare. Dell’ingegner Francesco Profumo non so niente, se non ciò che si legge da giorni: una brillantissima carriera, riconosciuta sia in ambito scientifico che accademico, rettore del Politecnico di Torino, presidente del Cnr. Non ho motivi per credere che la sua azione sulle politiche scolastiche sarà di un certo tipo piuttosto che di un altro; né per pensare che un manager tratterà la scuola come un qualsiasi altro sistema: ho fiducia che ne possa comprendere specificità e complessità; non do per scontato che lui – che ha fatto parte del primo comitato di valutazione dell’università e della ricerca (Civr) – applicherà alla scuola la valutazione becera e punitiva proposta da Gelmini e Brunetta. Potrei pensare, casomai, il contrario: che forse sia finalmente ipotizzabile un approccio culturalmente significativo al rilevamento delle prestazioni. Ciò che il prof. Profumo sarà in grado di fare lo diranno i fatti; e solo allora i commenti avranno un riscontro. Posso però dire che ci sono due sue affermazioni che mi hanno colpita: “Io credo che la scuola sia la scuola, ma certamente quella pubblica in Italia è molto importante”. “Comincerò dalle cose che conosco meglio, ovvero l’università e la ricerca. Dovrò invece studiare ancora un po’ sulla parte scuola perché sono meno esperto: a ogni modo ci proverò”. La seconda dice un apprezzabile atteggiamento, ragionevole e cauto, consapevole della complessità, così lontano dalle arrembanti certezze dell’immeritevole ed eterodiretta Gelmini. La prima ci rimanda al dettato costituzionale.
Qual è l’interesse della Nazione cui fa riferimento il giuramento? È la scuola della Costituzione, lo strumento per rimuovere gli ostacoli che “limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3) ; è la scuola dell’inclusione; la scuola laica e pluralista; quella il cui accesso ai massimi gradi deve essere garantito ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi.
Ha detto Profumo, promettendo ai giovani quell’ascolto che negli ultimi 3 anni è stato solo un orpello retorico per coprire l’autoreferenzialità: “Serve un programma di medio termine, una strada su cui muoversi senza strappi, dando l’idea che il Paese ha un progetto”. Il progetto è scritto nella Carta e non transita attraverso velleitarie (perché impraticabili, non perché inauspicabili) abrogazioni di norme, ma attraverso un’opera di riqualificazione: recupero della legittimità delle procedure (sa il ministro Profumo che sentenze del Tar e del Consiglio di Stato sono state completamente disattese dal suo predecessore?) ; congruenza tra fini, mezzi, risorse, risultati: analisi del concreto e abbandono delle politiche degli annunci demagogici; recupero della trasparenza delle intenzioni in rapporto con le esigenze della comunità educante; ascolto – davvero – e cessazione del rapporto conflittuale preconcetto con i lavoratori della scuola; valutazione come strumento di miglioramento delle procedure e di ottimizzazione delle risorse: non è vero che la scuola è contraria alla valutazione, ma all’improvvisazione demagogica e arbitraria; intervento sui precari, come portatori di diritti, ancor più se autoprodotto del sistema; rapporto con l’Europa non come assolvimento di un obbligo di protocollo, ma come incentivo a un approfondimento scientifico: l’acquisizione di dati del nostro sistema scolastico comparativamente peggiori rispetto agli altri non ha mai fatto registrare – fino ad ora – inversioni di politiche e interventi di sostegno: i tagli sono stati soluzione unica; studio, elaborazione: basta con il dilettantismo. La parte nobile dell’autonomia va restituita alla scuola, quella che non è (quasi) mai esistita: di ricerca, sviluppo e sperimentazione.
Il Fatto Quotidiano 20.11.11